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 2020  settembre 27 Domenica calendario

Intervista a Anand Menon

Anand Menon è professore di politica europea e affari esteri al King’s College di Londra e direttore dell’iniziativa «Il Regno Unito in un’Europa che cambia».
Quali sono le conseguenze della Brexit per il Regno Unito e per l’Europa?
«Dal punto di vista europeo l’uscita della Gran Bretagna rende l’Ue più debole: ha perso un grande stato membro con un’economia significativa e importanti risorse di politica estera e di difesa. Ma non andrà in pezzi per questo. L’Ue deve affrontare tre enormi problemi strutturali, nessuno dei quali coinvolge la Gran Bretagna. 1) La riforma dell’eurozona. 2) Il problema dei migranti. 3) La lotta tra un’Europa orientale e centrale illiberale e l’Europa occidentale liberale. Per la Gran Bretagna l’integrazione europea era un progetto economico. La Brexit avrà sicuramente un impatto economico negativo nel breve e medio termine e la gravità dipenderà dal tipo di uscita concordato. Londra sarà responsabile dei risultati in un modo molto più diretto rispetto a quando i risultati negativi potevano essere attribuiti all’Ue».
La Gran Bretagna diventerà meno influente?
«Il Regno Unito è una potenza di medie dimensioni e può crearsi una nicchia e un ruolo distintivo. Non sappiamo cosa intenda il governo con l’idea di "Gran Bretagna globale". Significa che affianca i partner tradizionali del Commonwealth come l’Australia e il Canada, o opera a stretto contatto con gli Usa? La grande incognita degli Usa, ovviamente, è chi sarà presidente a gennaio e quanto sarà entusiasti di lavorare con il Regno Unito ».
Se Trump verrà rieletto, indebolirà l’Ue e la Nato?
«A Trump non piace l’Ue e il progetto di integrazione di per sé. Non vedo alcuna possibilità che la sua posizione possa cambiare. Ciò potrebbe convincere gli europei della necessità di collaborare più strettamente, come ha appena detto il presidente della Commissione Ursula von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione, e pensare di passare al voto a maggioranza in politica estera. Un mondo in cui non ci si può fidare dell’America è un mondo in cui l’Europa deve agire in modo più deciso».
Che continuità c’è tra una presidenza Trump e una presidenza Biden?
«Chiunque vada alla Casa Bianca, vedrà la Cina come un avversario. La capacità di Londra di lavorare con gli europei su questo tema è dubbia, anche perché la Germania ha legami commerciali molto stretti con la Cina .E la maggior parte dei paesi europei sono molto dipendenti dai tedeschi».
L’Europa potrebbe avere una politica completamente diversa con la Cina rispetto al Regno Unito o agli Usa?
«A causa di questi legami commerciali è assolutamente possibile che il Regno Unito e gli Usa finiscano per trovarsi su posizioni diverse rispetto all’Ue quando si tratta di rapporti con la Cina».
Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrain hanno appena firmato un accordo alla Casa Bianca, ma né Londra né l’Ue hanno detto nulla. Il silenzio è interessante o allarmante?
«È interessante e un po ’deprimente, perché l’Europa ha interesse a ciò che accade in quella regione ed essere incapace persino di esprimersi nel merito è grave. Quella parte del mondo è vicina all’Europa. Se vogliamo risolvere i problemi di migrazione dal Nord Africa a dobbiamo avere politiche verso la regione che aiutino a portare sicurezza e stabilità. A oggi, l’Europa ha fallito su questo. Non c’è altro modo per dirlo».
L’Europa è ancora un concetto astratto?
«Sì, ed è ancora un concetto d’élite. La consapevolezza non si è trasmessa agli elettori nel loro insieme, che sono tuttora principalmente leali ai loro stati nazionali. Il Trattato di Maastricht ha trasformato l’Ue da progetto economico a qualcosa di molto più politico e l’euro ha rafforzato questa tendenza. L’Europa come presenza politica sta cercando di mettersi al passo con l’Europa come realtà dei trattati ma non ce l’ha ancora fatta».
La pandemia rafforza o rallenta questo processo?
«La vera crisi economica non è ancora arrivata. Il successo degli Stati membri, e della stessa Ue, nel mitigare le peggiori ricadute economiche negli Stati membri più colpiti, sarà fondamentale per definire come si svilupperà questa crisi nel futuro a lungo termine dell’Europa. In Europa la sanità pubblica funziona meglio che in Usa, ma deve prestare attenzione ai tassi di ripresa differenziati. Questo potrebbe alimentare il risentimento che abbiamo visto durante la crisi finanziaria, con alcuni paesi che se la cavano meglio di altri e la percezione che chi se la cava bene non stia facendo abbastanza per aiutare chi è difficoltà».
Ma la differenza tra Nord e Sud non è forse insita nelle caratteristiche dell’Europa?
«Sì, ma gli europei pro-Ue sono stati lenti a capire che se permetti alla crisi di prendere piede in alcuni stati e non in altri, ti ritroverai con governi populisti il cui impatto rallenta il funzionamento dell’intera Ue ».
La sua visione, in definitiva?
«Sono sempre stato un po ’sospettoso nei confronti delle visioni. Vorrei una politica guidata dall’evidenza, piuttosto che solo dall’emozione».
Traduzione di Carla Reschia