Si può essere campioni italiani senza essere italiani. Anzi, con la prospettiva di ottenere il passaporto solo intorno al 2030. Fino ad allora le medaglie si alternano a lunghe, snervanti code in Questura e Prefettura, con funzionari che, vedendo pelle nera e passaporto camerunense, usano il "tu" e i verbi all’infinito. Invece la lanciatrice del peso Danielle Frederique Madam non solo parla perfettamente l’italiano, ma sa pure il dialetto pavese: «Nei weekend faccio la barista, per servire i vecchietti è indispensabile». Non bastano i dibattiti su ius soli totale, temperato, o ius culturae a tenere in bilico circa 800 mila giovani, arriva il caso di Luis Suárez a dare la botta finale: «Se le cose sono andate come ho letto, è la prova che esistono extracomunitari di serie A e di serie B o anche C. A qualcuno la cittadinanza italiana viene offerta, ad altri viene negata o resa difficilissima». Discorso, che riguarda proprio questa 23enne lanciatrice del peso, cinque titoli nazionali giovanili e un bronzo assoluto («la medaglia più bella»), forte di carattere almeno quanto di fisico, come ha dimostrato lanciando, stavolta, il sasso nel vespaio con un post «di pancia».
Post in cui sbotta: "Ci sono tanti giovani che come me hanno passato gran parte della loro vita qui, studiano o lavorano ma sono fantasmi per lo Stato".
«Io sono mite, ma dovevo reagire.
Leggo di un esame farsa per la cittadinanza a Suárez. Io dei miei 23 anni ne ho passati 16 in Italia, sto per laurearmi in Comunicazione, vinco titoli italiani e ho la prospettiva di ottenere la cittadinanza nel 2030».
Ci racconti la sua storia.
«Sono arrivata in Italia a 11 anni con uno zio, morto poco dopo. Così mi hanno mandato in una casa famiglia, dove a furia di mangiare ho messo su un gran fisico che mi ha fatto scoprire questo sport. Ma ho avuto solo il domicilio, non la residenza, che ho ottenuto solo uscendo da lì, nel 2016.
Servono 10 anni prima di poter fare domanda, e lo Stato ha 4 anni per concederla. Arriviamo al 2030».
Col paradosso di poter partecipare ai campionati italiani, ma non andare in Nazionale.
«Paradosso che ho capito tutto d’un botto nel 2013, quando ho fatto la misura minima per essere convocata a gare internazionali, ma non sono stata convocata. Avevo 16 anni, immagini cosa potevo sapere di cittadinanza, residenza e burocrazia varia. D’improvviso mi sono resa conto di essere diversa dagli altri».
E con il passaporto del Camerun.
«Devo rinnovare il permesso di soggiorno ogni due anni impiegando ogni volta quasi un anno e mezzo.
L’ultimo è scaduto tre settimane fa: a Natale non potrò andare a trovare mia madre in Camerun, pena l’espulsione dall’Italia. E non posso girare neppure per l’Unione Europea. La cittadinanza non me la danno, ma da qui non posso muovermi».
Ha subito il razzismo della legge.
E quello degli italiani?
«No, non credo che l’Italia sia razzista. Qualche battutina cretina sì, ma mi ha solo dato più forza nel lanciare il peso».
Non ha pensato di risolvere la questione alla Suárez, cioè sposando un italiano?
«Al momento non ci penso. Ho lo sport, lavoro, sto per laurearmi, poi vorrei fare la funzionaria in Questura per aiutare quelli come me, perché siamo davvero tanti in queste situazioni umilianti. Ma le proposte di matrimonio non mi sono mancate Tanti che hanno commentato il mio post su Facebook si sono offerti di sposarmi, e non come battuta. Mi ha fatto piacere, così come non aver ricevuto commenti razzisti e idioti».
Del calcio che pensa?
«Lo sopporto sempre meno. Oscura gli altri sport, è sempre più pieno di episodi di razzismo. Poi, dopo il caso Suárez, si immagini».
A proposito, se lo incontrasse saprebbe cosa dirgli?
«Anzitutto saprei come dirglielo: in spagnolo, che ho studiato, visto che l’italiano mi pare che lo capisca pochino. E poi gli direi che la cittadinanza non è un pezzo di carta, ma è qualcosa di serio che ti senti nel cuore. E, quando me lo chiedono, io rispondo che non mi sento camerunense, ma italiana, E pavese».