«Lo troveranno prima o poi, ma dove non lo stanno cercando, il sindaco giusto per Roma» dice Massimiliano Fuksas che vorrebbe non parlar male di nessuno degli ultimi tre - Raggi, Marino e Alemanno - «ai quali quello nuovo non dovrà comunque somigliare». Si fanno i nomi di Sassoli e di Calenda: «Bravissime persone, ma la politica è estenuata e non credo possa offrire a Roma le sorprese di cui ha bisogno».
Possibile che il passato non offra modelli alla Roma di oggi?
«Ce ne vorrebbe uno che avesse l’intelligenza di Petroselli, il coraggio di Rutelli e la pazienza di Veltroni. E ancora così non basterebbe. Ci vuole qualcosa di più, di inaspettato e di imprevedibile».
L’uomo della provvidenza?
«Per carità. Ci vuole, per cominciare, un urbanista visionario capace di vedere che con le file degli alberi - tigli e platani, foglie e ombre - cambia anche il disegno di una città. Ma deve essere anche un uomo d’industria, che creda nella vocazione industriale di Roma».
La fama è quella di città parassitaria.
«Stupidaggini folcloristiche. Roma è una città produttiva. Tutti fanno finta che la sola risorsa sia il turismo. E invece ci sono le industrie, come Leonardo per esempio. Il sindaco deve conoscere e rilanciare l’asse industriale della Tiburtina e della Pontina, il perimetro tra Pomezia e Latina, e poi Colleferro, Anagni e la valle del Sacco. Roma non è la città dei centoventimila abitanti del Centro storico. Ci sono a Roma tre milioni e mezzo di, perdonatemi l’inglese, city users. La città deve funzionare e il sindaco, che non li può conoscere uno per uno, deve però essere il loro manager, il loro architetto e il “farmer”della nuova frontiera dell’agricoltura. Perché Roma è anche il più grande comune agricolo d’ Italia, 11 volte più grande di Parigi».
E le strade? Non ci sono solo le buche. Oggi tutte le vie di accesso a Roma sono depositi di sterpaglia.
«Per le strade ci vuole una tenace, lenta pazienza. Ma bisogna dare subito dei segnali molto forti».
I rifiuti?
«In attesa che l’uomo non ne produca più e che l’economia diventi circolare bisogna accettare la modernità e dunque i termovalorizzatori che come nel Nord trasformino la spazzatura in risorsa energetica».
Bisogna costruire o distruggere?
«Né costruire né distruggere.
Roma è fin troppo costruita, e chi in periferia entra nei suoi palazzi moderni non sa come uscirne. Ma la ruspa non è mai una soluzione».
Anche al Corviale, al Laurentino 38, a Tor Bella Monaca? E la terribile edilizia sociale, l’abusivismo di interi quartieri?
«Persino i palazzinari avevano un’idea di verde, e ci mettevano pure il laghetto. Poi il disordine abitativo è diventato terribile. Ma anche nel grande sacco di Ciancimino a Palermo c’è qualcosa di piacevole e tutto può essere migliorato: mai la ruspa! Meglio portare alberi e scuole, negozi, servizi e ospedali. E a volte bisogna creare qualche vuoto, far girare una strada, inventarsi qualcosa come il Distretto dei teatri... Sono progetti che abbiamo realizzato in altre città. Anche a Marsiglia.
Perché non a Roma?».
E i trasporti?
«La metropolitana va finita, più lunga possibile. E bisogna ripristinare la legalità: non è più accettabile che i trasporti a Roma siano solo materia di cronaca giudiziaria. Poi, come nelle altre città, anche a Roma bisogna rimettere i tram sui binari. E ci vuole un piano idrico che le restituisca la sua magnifica acqua.
Il Tevere deve essere drenato e usato per la navigazione turistica.
Il lungotevere va ricongiunto in tutte le sue parti, bisogna fare le banchine... La Senna tornerà balneabile. Perché il Tevere no?».
Già Caproni, che fu il tuo maestro di scuola, raccontava di autobus di Roma stipati di uomini e donne che si sentivano “spatriati, come se anziché tornare a casa si recassero in esilio”.
«Oggi spatriati e in esilio sono gli immigrati che, nella città dei pellegrini, cercano la terra promessa».
Cercano il loro architetto?
«Non bisogna essere architetti per fare le città. Ne siamo tutti autori: la città dei pedoni e dell’accoglienza è un paesaggio diverso dalla città delle auto e dei ghetti. Anche la qualità dei rapporti cambierebbe: corso Vittorio Emanuele, per esempio, che è una strada bruttissima, fatta dai piemontesi che spaccarono in due la bellezza di una città che non capivano, cambierebbe se fosse pedonale e alberata.
Ritroveremmo il sorriso, i colori, la bellezza. E migliorerebbero pure i pensieri. Roma non ha bisogno di nuove costruzioni, stadi e torri, ma di riempire gli spazi vuoti, il verde che quando ero ragazzo era meglio di un piano regolatore, i lecci di via Ostiense, gli allori ad anello di villa Sciarra, i cipressi di via Calandrelli. Roma ne ha perduti centinaia. Non c’è un’anagrafe. A villa Borghese e a villa Pamphili c’erano gli animali, e anche i prati erano curati. Dove sono finiti i vigili urbani, bonari e severi, che sbucavano ogni volta che io calpestavo i prati?».
Il sindaco deve essere romano?
«No. Non lo erano gli imperatori. Non lo erano i grandi papi medicei. Non lo erano Vittorio Emanuele II e Mussolini che, cercando la Roma imperiale, fece l’orrore di sventrare i Fori e via della Conciliazione. E non lo era il grande sindaco Ernesto Nathan».
Tu sei romanissimo.
«Sì, a parte mio padre, un lituano ebreo che venne a Roma a studiare medicina, ma poi non ebbe il permesso di esercitare nonostante si fosse finto cristiano e ariano con l’aiuto dell’ambasciatore. Sono nato in via Nicola Fabrizi, una camera con bagno. Nel frigo non c’era mai niente. Ero un bimbo infelice e quando mio padre è morto avevo sei anni e mi impedirono di andare al funerale.
Mi mandarono dai vicini ma da lì sentivo tutto quello che accadeva in strada. Pensa che ancora oggi non vado ai funerali».
Hai il corpo da orso lituano, gli occhi strabuzzati e il mento ingraiano, ma fai pensare ai popolani del Belli e al Rugantino, con la spavalderia romana della battuta ad ogni costo.
«I romani a differenza dei toscani non hanno mai la battuta cattiva.
Stronza, sì, ma non cattiva. E dimentichiamo subito. Bruno Zevi, con il quale ho avuto rapporti belli e burrascosi, mi diceva: “Fuksas, sei uno stronzo”. E poi aggiungeva: “Come me”. Aveva ragione . Ecco: Bruno Zevi, era un grande romano. Se vuoi vedere i veri romani devi andare nel Ghetto, ritrovi le stesse facce scolpite nell’arco di Traiano».
Nella tua Roma c’è il Gianicolo ma anche Trastevere, il Ghetto, tutto il centro e ovviamente Valle Giulia, la facoltà di architettura e il ‘68.
«Posso dire che la città mi è cambiata attorno e che quando passeggio è come se passeggiassi nella mia autobiografia».
Un sindaco deve comunque amare i romani?
«Deve amare Roma e non disprezzarla, e la deve riportare al centro del mondo. Deve poter dialogare con il mondo, attrarre capitali e valori non solo economici, ma culturali, politici e artistici».
Un vecchio leader come D’Alema che è stato presidente del Consiglio e ministro degli Esteri?
«Certo avrebbe qualche titolo. Ma si porta sulle spalle troppa politica. Mi si passi l’espressione: il sindaco di Roma deve essere un city manager».
Ti candidi?
«Non ci penso nemmeno. Oltre al resto, non ho l’età».
Lavoreresti gratis per questo ideale city manager?
«È già successo. Se Roma lo chiede, sicuramente sì».