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 2020  settembre 26 Sabato calendario

QQAN63 1QQAFM10 Su "La filosofia è un esercizio" di Pier Aldo Rovatti con Nicola Gaiarin (La nave di Teseo)

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Nel corso di un’intervista venne chiesto a Jacques Derrida che cosa avrebbe voluto vedere in un documentario su un filosofo come Hegel o Heidegger. Dopo averci pensato alcuni istanti, Derrida rispose: «La loro vita sessuale. Che parlino della loro vita sessuale. Qual è la vita sessuale di Hegel o di Heidegger?». La risposta di Derrida potrebbe apparire provocatoria alle orecchie del filosofo accademico contemporaneo per il quale la filosofia si riduce, sempre più spesso, a una disciplina che mima i protocolli del discorso scientifico. In verità, la risposta di Derrida mira a riportare la filosofia al cuore della singolarità di chi la pratica. Si tratta di controfirmare con il proprio nome il discorso filosofico, contaminando autobiografia e avventura del pensiero a cui nulla resta estraneo: accidenti, ricordi personali e storie pubbliche, amori e battaglie politiche, che si ritrovano a comporre insieme ai testi in senso stretto il mosaico in cui la filosofia appare per ciò che era al momento della sua nascita: askesis vale a dire «esercizio», «allenamento». Di solito pensiamo a Foucault quando evochiamo questa idea di filosofia; ma dimentichiamo che Derrida l’ha praticata nella scrittura forse in modo ancora più radicale. La filosofia è esercizio: esercizio di esistenza, esercizio di scrittura come modo di esistenza.

È su questo terreno che gioca la sua partita il libro di Pier Aldo Rovatti La filosofia è un esercizio, edito da La nave di Teseo, costruito come un’autobiografia in forma di intervista con Nicola Gaiarin, che prende idealmente le mosse da queste domande: «Come ti sei allenato? Come hai messo in piedi i tuoi esercizi?». Rovatti, che pure è stato filosofo nell’Accademia, lo dichiara fin dalle prime pagine: «Io non sono un amico della filosofia come disciplina. Sono amico dell’esercizio intellettuale». Per questa ragione il libro di Rovatti non va letto come un semplice racconto autobiografico che si svolgerebbe a margine della produzione filosofica propriamente detta, ma come un testo di filosofia «senza frontiere» la cui forma, in perfetto equilibrio tra vissuto in prima persona e pensiero, può apparire inusuale solo se accettiamo acriticamente l’idea che il saggio accademico o il fantomatico «libro di filosofia» siano l’unica forma o la forma privilegiata del discorso filosofico contemporaneo.

Ma questa, appunto, non è filosofia: è il discorso dell’Università la cui crisi non è altro che la crisi della disciplinarizzazione della filosofia. Per questo una delle domande da porsi con urgenza, e che il libro di Rovatti ha il merito di porsi a più riprese, è proprio come uscire da queste forme di immaginario filosofico senza più presa sul reale per dare respiro alla filosofia, per aprire altri giochi, altri esercizi: meno lenti e noiosi, più indisciplinati, più inventivi, più efficaci. Per dirla con Rovatti: «Se no la filosofia cos’è? O non è niente, il bla bla di alcuni che si definiscono filosofi, e che non contano niente. Oppure, se contano, devono essere quelli che mettono in gioco un esercizio di pensiero che non è così banalmente trasparente. Il coraggio della filosofia è anche il coraggio della messa in crisi della disciplinarietà della filosofia». La filosofia è un esercizio ripercorre le tappe di formazione o meglio di «costruzione di sé» del filosofo Pier Aldo Rovatti la cui caratteristica sembra essere più quella della dépense, del dispendio, che della capitalizzazione del sé, dell’ipseità, vale a dire del potere. Ma proprio in questo dispendio si apre la dinamica di un dono di pensiero che eccede i limiti economici del «rendere ragione» e ha l’aspetto di un’esperienza di gioco aperto alla riscrittura continua delle proprie regole, strategie, tattiche. Nello spazio di questo gioco incrociamo esperienze diversissime, dal teatro alla «palestra di sperimentazione» di aut aut, dal pensiero debole a figure fondamentali del panorama filosofico con cui Rovatti ha giocato diverse partite: Paci, Marx, Husserl, Sartre, Foucault, Derrida, Sloterdijk. Un libro di filosofia come romanzo di formazione? La definizione non è adeguata: il testo di Rovatti e Gaiarin è più veloce, creativo, mette in scena spazi e dinamiche di gioco, perché per Rovatti «la scrittura filosofica deve essere anche un’esperienza di gioco». Niente romanzo, dunque; penso piuttosto a una serie Netflix in stile The Last Dance con Rovatti allenatore-filosofo: più Phil Jackson che Michael Jordan.

Cosa c’entra il basket con la filosofia? La incrocia, sul terreno della vita, e lascia chiaramente un segno, una piega nel pensiero di Rovatti: «Incrocio il basket, negli anni del liceo, e dato che faccio parte della rappresentativa scolastica, riesco a saltare qualche lezione che non mi andava per allenarmi. Lo sport e il gioco sono sempre stati importanti per me. Mi sono trovato a pensare a questo, come davanti a un bivio. Mi occupo di filosofia o mi occupo di pallacanestro, magari diventando allenatore?». E invece è diventato un filosofo-allenatore del pensiero debole, che in fondo è uno stile di gioco che coincide con uno stile di vita.