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 2020  settembre 26 Sabato calendario

7QQAN40 QQAN30 La scomoda verità di Konchalovskij

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Fin dall’introduzione, Andrej Konchalovskij vuole precisare il perché del titolo della sua autobiografia: il segreto è in una frase di Puskin, «un inganno sublime ci è più caro di un fiume di scomode verità». Ecco perché la sua autobiografia si intitola proprio Scomode verità. Di verità ce ne sono molte e la narrazione scorre liscia, dalla Russia sovietica di Stalin fino al suo definitivo trasferimento negli Stati Uniti, dalle violente liti con Tarkowskij (che insieme a lui era l’allievo migliore della scuola di cinema sovietica) ai difficili rapporti con Sylvester Stallone quando fu scelto per realizzare con lui Tango & Cash.
Konchalovskij è prodigo di racconti rispetto ai suoi film, ma sembra veramente elettrizzarsi quando racconta i suoi rapporti con le tante donne che gli sono state vicine, dalla studentessa di danza che sarà la sua prima moglie alla cotta per Macha Meril fino alla lunga relazione con Shirley MacLaine.
Il regime sovietico, da lui duramente descritto di recente in Cari compagni (il film presentato alla Mostra del Cinema 2020) viene raccontato nelle sue contraddizioni, nelle sue miserie: come l’insegnante che tratta con disprezzo lui e Tarkovskij chiamandoli «ebrei» o i venti dollari al giorno che costituiscono la sua diaria per i primi viaggi nei festival occidentali. E l’Occidente appare al giovane Andreij come un posto felice, spensierato, attraversato da una gioia che nel blocco sovietico gli sembra sconosciuta: quando si reca per la prima volta in Italia lo colpiscono i ragazzi che cantano per la strada anche se non c’è nessuna cerimonia ufficiale. Appena ottiene un ricco ingaggio (deve realizzare sequenze russe per I girasoli, uno degli ultimi film di Vittorio De Sica) si concede una vacanza sulla Costa Azzurra. E quando va in California, davvero non crede ai suoi occhi.
I suoi gusti di cinema sono eclettici. Ricorda un turbamento giovanile vedendo Gina Lollobrigida danzare a piedi nudi in I pagliacci di Mario Costa, film operistico in cui l’attrice è doppiata dalla soprano Onelia Fineschi. Crescendo, adora il polacco Wajda ma anche Luis Buñuel del quale apprezza la sensualità), il sovietico Boris Barnet, il giapponese Akira Kurosawa ma soprattutto l’italiano Federico Fellini. Di Fellini propone una scansione di uno dei suoi film più famosi, Le notti di Cabiria, analizzandolo quasi alla moviola.
Poi ci sono dei personaggi di cinema che hanno un ruolo fondamentale nella sua vita e che sono raccontati in modo molto originale: ad esempio il discusso produttore israeliano Menahem Golan che si fa raccontare la sceneggiatura di Maria’s Lovers mentre in mutande si sta facendo la barba in un albergo di Cannes.
Chi si aspetta un ritratto duro e impietoso del cinema sovietico trova pane per i suoi denti, ma non è che il cinema di Hollywood ne esca molto migliore. Come dice lo stesso Konchalovskij, anche a Hollywood c’è un sistema. Se molti talenti sovietici (primo tra tutti l’amato-odiato Tarkowskij) hanno dovuto emigrare, a Hollywood registi straordinari quali Jerry Schatzberg o Monte Hellman non hanno potuto lavorare nonostante il successo di molti loro film. E se i funzionari di partito che si occupano di cinema son ottusi, non è che i produttori americani lo siano di meno. Konchalovskij non ha mai fatto mistero di questo suo pensiero. Non a caso, alcuni emigrati russi lo sospettavano di essere un agente del Kgb che fingeva di criticare il regime per riferire sui fuoriusciti.
Konchalovskij, insomma, racconta tante storie affascinanti che lo riguardano. Chissà come sarebbe stato il rifacimento di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, per il quale aveva comprato i diritti pensando di riscriverlo insieme a Paul Schrader (uno dei grandi sceneggiatori e registi di Hollywood). Chissà cosa lo spingeva (a parte la riconoscenza, visto che lo ha aiutato molto quando Andrej scelse di trasferirsi in America) a definire Jon Voight «il nuovo Gerard Philippe». E il fascino di Liv Ullman? E la vodka con i mirtilli neri? E l’attrazione per i seni femminili che gli arriva dalle prime esperienze erotiche, anche se nessuna della donne da lui citate sembra essere una maggiorata?
Il racconto scorre fluido, i nomi, i titoli e le situazioni sono raccontare con maestria. Sulla famiglia, però, Andrej è volutamente reticente. Racconta del padre, autore dell’inno nazionale, e delle convocazioni da parte del partito alle quali risponde malvolentieri. Descrive la madre come una grande intellettuale, tutta presa dal proprio lavoro di traduttrice. Ma del fratello Nikita Michalkov quasi nulla. Sappiamo che lo considera un professionista solido, capace di dare al pubblico ciò che al pubblico piace. Ma niente di più. Per la verità, Andrej parla poco anche dei tanti premi che ha vinto, a Venezia e a Cannes. Gli interessano più le sue storie di vita: una vita, evidentemente, nella quale il fratello Nikita non ha trovato spazio.