Tuttolibri, 26 settembre 2020
12QQAFA10 Intervista a Joyce Carol Oates
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Joyce Carol Oates è una certezza. Non si esagera a definirla una delle maggiori scrittrici contemporanee. Terminologia spesso usata a sproposito, o perlomeno abusata, ma non nel caso di questa donna minuta di 82 anni, che da settanta scrive senza sosta (da bambina scriveva diari che poi ha distrutto e pubblicava sul giornaletto della scuola). Oltre cento libri e non ha ancora esaurito il fiume di emozioni e storie che la sua vena di narratrice assoluta è capace di esprimere.
Oltre cento libri e non ne ha sbagliato uno. Joyce Carol Oates è immensa e come scrittrice sembra difficile da contenere. Ma al tempo stesso è una persona incredibilmente schiva e scarna. Concede poche interviste e quando lo fa si capisce che non è a suo agio. È un’artista che preferisce far parlare le proprie opere, piuttosto che raccontarsi. In effetti, nelle sue pagine c’è già tutto: le sue emozioni, gli stati d’animo, le mutevoli ossessioni, la violenza quotidiana, le vittime, il razzismo, la famiglia. C’è l’America come grande affresco corale e lo scavo individuale nell’oscurità di ogni animo umano.
Nata a Lockport, New York, nel 1938. Ha scritto romanzi, racconti, testi teatrali, poesia, saggi. Ha vinto premi, dal National Book Award, a due O Henry, dal National Humanieties Medal al Jerusalem Prize, cinque volte finalista per il Pulitzer. Tanti riconoscimenti, ma non ancora il Nobel, anche se il suo nome ogni anno appare nella lista degli eterni favoriti.
Quando si cerca di parlare di lei, la Oates tira spesso fuori la storiella di Shakespeare che si dice fosse un autore trasparente. E lo stesso dice di sé: «Non sono così interessata a me stessa».
È stata sposata per 47 anni con Raymond J. Smith, un professore ed editore dell’Ontario Review, rivista che avevano fondato insieme nel 1974. Dopo la sua morte nel 2008 per le complicazioni di una polmonite, la Oates ha raccontato il dolore e lo straniamento della perdita nel molto acclamato memoir Storia di una vedova. Per la cronaca precisiamo che poco dopo, ha incontrato e sposato Charlie Gross, un neuroscienziato, anche lui recentemente passato a miglior vita.
In Storia di una vedova, rivelava che Raymond non aveva mai letto le sue prove narrative. Leggeva il resto, ma non i suoi romanzi. Quindi, concludeva «si potrebbe dire che non mi conosceva interamente: mi conosceva parzialmente, ancorché in misura considerevole. Come mai? Possono essere addotte molte ragioni. E’ qualcosa che mi ha sempre intristito, inutile negarlo. Per esempio, perché scrivere è un’occupazione solitaria, e uno dei suoi pericoli è dato dell’isolamento. Dall’isolamento però derivano alcuni vantaggi: la privacy, l’autonomia, la libertà».
Ecco in estrema sintesi perché non le piace parlare di sé e del suo lavoro. Leggete i libri, parlano da soli. Nelle sue pagine c’è tutta l’America vera e profonda. Quella che ha visto in questa cavalcata di quasi un secolo, nascendo in una fattoria da una famiglia povera, emancipandosi grazie alla scrittura, vincendo borse di studio e premi già da giovanissima, per finire nell’élite del sistema, accolta e acclamata in quel mondo che lei ha sempre preferito solo lambire, rimanendone al margine, per tornare sempre alla sua casa nel New Jersey, dove ha il giardino da curare, le piante, i fiori e i gatti e la corsa – ogni giorno svariati chilometri – per pulire la mente da tutti i pensieri e le parole con cui convive.
Il suo primo vero libro è stato By the North Gate, una raccolta di racconti pubblicata nel 1963, ma è il suo quinto libro, Loro, un romanzo del 1969, che le fa vincere il primo National Book Award e la conferma uno dei più importanti autori americani. Blonde (del 2000) la storia romanzata della vita interiore di Marilyn Monroe, è spesso considerato il suo miglior libro (nominato sia per un Pulitzer che per un National Book Award) anche se per una parte della critica la palma va a Dove stai andando, dove sei stato?, la storia dello stupro di una giovane ragazza, in cui la scrittura della Oates è così pulita e puntuale da far venire i brividi.
Impossibile aver letto tutta la sua produzione, e lei stessa lo ammette: una delle poche persone che l’ha fatto, è un uomo di nome Greg Johnson, che ha scritto la sua biografia. «Forse anche qualche altra persona», dice. Ma lei stessa fa fatica a ricordarsi tutti i personaggi. «Li ricorderei se iniziassi a rileggere i miei libri. Alcuni sono veramente minori, ma altri rimangono splendenti, vivi».
Tra tutti i libri a quale si sente più legata?
«La figlia dello straniero mi sta molto a cuore. È un racconto di sfollati che vengono negli Stati Uniti prima della Seconda Guerra mondiale in cerca del "sogno americano" ma trovano invece la prosecuzione di alcuni dei disordini del mondo che si erano lasciati alle spalle. Molte delle scene sono vivide per me, ricordate da luoghi nello stato di New York dove ho vissuto. Il finale è particolarmente commovente».
La figlia dello straniero (insieme a Una brava ragazza) viene riproposta adesso da La Nave di Teseo. La storia, a riprova di quanto si diceva all’inizio, è molto autobiografica. Si ispira alla nonna paterna della Oates, Blanche Morgensten, arrivata in America all’inizio del secolo scorso. E racconta di una giovane donna che si sposta lungo il paese lasciandosi dietro pezzi del suo passato e un marito violento. Una lettera di un lontano cugino, sopravvissuto all’Olocausto, le rivela sul passato dei suoi genitori molto più di quanto lei volesse sapere e loro avrebbero voluto confessare. «Il mio romanzo evolve nella finzione, solo l’essenziale è autobiografico» dice. Ed è un po’ quello che accade in tutta la sua opera.
Evolvono le persone, evolve l’America che lei racconta. I suoi libri sono spesso pieni di violenza. Ne ha parlato così tanto, nelle sue diverse gradazioni, fisica e psicologica. Si è fatta un’idea della sua origine: l’essere umano ha un istinto innato a essere malvagio e a compiere atti feroci o è il risultato dell’ambiente e dei tempi in cui vive?
«Io sono una scrittrice che scrive di persone, spesso di donne e spesso in famiglia. Non sono una sociologa o una giornalista che scrive di "violenza". La mia attenzione è sulle relazioni intime degli individui con gli altri, che a volte assume la forma di azioni violente, ma è anche, spesso, congiunta con l’amore e i legami familiari. Una brava ragazza è una sorta di storia d’amore da favola, tra una ragazza e un uomo molto più anziano. In entrambe le opere di narrativa, le storie d’amore si sviluppano in modi inaspettati».
Tribalismo, nepotismo, violenza, crimini ispirati dall’odio, razzismo: Trump è il prodotto o la causa di quanto sta accadendo nell’America attuale?
«Trump è un caso speciale nella storia americana perché è completamente inesperto nelle cose del governo e come uomo d’affari è fallito diverse volte. È stato attraverso la sua apparizione in un reality show televisivo, The Apprentice, nel quale ha interpretato un uomo d’affari di successo, che è diventato un volto familiare per molti spettatori, che hanno identificato la persona con il ruolo e hanno votato lui in quel ruolo per merito praticamente di nulla. Si ritiene che Trump sia profondamente indebitato con gli oligarchi russi, che hanno finanziato le sue attività e successivamente la sua campagna».
Lei twitta molto contro di lui. Per un periodo era così scandalizzata che ha evitato anche di scrivere il suo cognome per esteso, scriveva T***p. Teme che possa vincere di nuovo?
«È molto probabile che possa vincere di nuovo, se i repubblicani riusciranno a tenere gli elettori neri lontano dalle urne come avevano fatto nel 2016, anche se gli elettori più giovani voteranno per Biden».
Questi sembrano tempi terribili. Ma i tempi in cui viviamo ci sembrano sempre i più terribili. Probabilmente è solo un’impressione. In più di sessant’anni ha sempre raccontato il volto di un’America che fa paura. Pensa che adesso sia peggio di allora?
«Nel complesso, il 2020 è peggio perché il cambiamento climatico sta precipitando su di noi, costringendoci ad affrontare una realtà incombente che, decenni fa, era ancora un’astrazione. Proprio in questi giorni la nostra costa occidentale è stata avvolta da fumi tossici, e anche se i cieli tornassero sereni, è evidente che un intero stile di vita è minacciato se non condannato. In un certo senso l’era della guerra del Vietnam è stata peggiore del 2020, perché a quel tempo l’esercito americano era impegnato in un conflitto orribile e inutile, ma a quel tempo non avevamo di fronte la chiara minaccia alla nostra democrazia rappresentata da Trump. Nixon fu spinto a dimettersi e lo fece per il bene del paese; Trump, sebbene sia un misero fallimento come presidente, è improbabile che si dimetta perché sarebbe vulnerabile all’arresto per alto tradimento e crimini di Stato».
È importante che gli intellettuali e gli scrittori diano voce nei loro romanzi alle questioni di attualità come l’ambiente? In futuro parlerà ancora di cambiamenti climatici nei suoi libri?
«La mia narrativa si è spesso occupata di questioni ambientali, come di questioni di politica e della brutalità della polizia, ma sullo sfondo, non in primo piano. Un romanziere non è un propagandista: il mio soggetto è il cuore umano in conflitto con se stesso e con gli altri, all’interno di una comunità riccamente dettagliata».
La famiglia è il nucleo narrativo di molte sue storie. Come le sembra che sia cambiato il modello della famiglia americana nell’ultimo decennio?
«L’unità "famiglia" si è allargata fino a includere famiglie in cui ci sono genitori single, genitori dello stesso sesso, generazioni diverse e molte altre combinazioni non comuni nei decenni precedenti in cui il matrimonio "maschio-femmina" era il nucleo».
Molte delle sue pagine sono dedicate al pugilato. Perché la boxe la appassiona così tanto?
«Il mio libro Sulla Boxe è apparso nel 1987 ed è stato ristampato per includere saggi aggiornati su Muhammad Ali e Mike Tyson. Sono affascinata dalla boxe come sport americano, che unisce numerose storie americane di successi e fallimenti, di trionfi e cuori spezzati. La boxe incarna il controllo che difficilmente si trova in altri sport, ricorda la solitudine della scrittura».
Molti scrittori hanno chiuso i loro account sui social media perché pensano che sia tempo perso. Lei è ancora molto attiva e continua a cinguettare su Twitter. Cosa ci trova di interessante il quel luogo virtuale?
«Twitter è la modalità egualitaria delle "ultime notizie", in arrivo da tutte le regioni del mondo, reportage di ciò che sta accadendo, che non richiede il filtro (e spesso la censura) dei media mainstream».
Alcuni suoi libri, per la maggior parte romanzi mistery, sono pubblicati sotto lo pseudonimo di Rosamond Smith e Lauren Kelly. Perché uno scrittore sceglie di nascondere la propria identità (penso anche a Elena Ferrante)?
«È bene per uno scrittore scrivere con uno pseudonimo, se possibile. Se invece uno vuole fare carriera pubblica come professore non è possibile nascondersi dietro uno pseudonimo. Elena Ferrante è saggia a ritirarsi, a concentrarsi sulla vita privata e lasciare le sue energie più profonde per il suo lavoro».