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 2020  settembre 26 Sabato calendario

Il sacro conflitto del Vaticano

Ci sono tre elementi nuovi nell’ultimo caso scoppiato in Vaticano, con la decisione presa all’improvviso da Papa Francesco di sostituire il cardinale Angelo Becciu dalla carica di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, per un sospetto di peculato. Tre aspetti che consentono di capire qualcosa di più dello scontro di potere che è in corso nei sacri palazzi, e spiegano come la defenestrazione del Prefetto non sia un caso qualunque, nemmeno in una monarchia assoluta temprata dalla misericordia com’è da sempre la Santa Sede.
Il primo elemento nasce dalla storia stessa di Becciu, per sette anni Sostituto della Segreteria di Stato, cioè plenipotenziario della politica pontificia, con il controllo degli affari generali della Santa Sede. La testa cinta di porpora che è saltata giovedì è dunque quella di un protagonista diretto di tutte le scelte compiute in Vaticano. Il messaggio che Francesco ha voluto trasmettere all’interno e all’esterno è quindi chiarissimo: nessuno è intoccabile, nemmeno i membri di quel vertice ristretto che guida lo Stato pontificio, e collabora quotidianamente con il Papa, uomini abituati a metodi più ovattati, che tenevano conto della loro rendita di posizione. Non solo: poiché Becciu, scelto da Papa Benedetto XVI, ha collaborato a lungo e direttamente con Francesco, la sostituzione fa intendere che non ci sono più in Vaticano zone franche, posizioni garantite, immunità di ruolo nemmeno per gli uomini del Papa, ma ognuno risponde individualmente della sua condotta, anche nel cerchio prescelto per il governo.
Il secondo aspetto riguarda la decisione inconsueta (è stata presa appena in altre tre occasioni) non soltanto di togliere a Becciu la guida della Congregazione, ma di spogliarlo di tutte le prerogative e di tutti i diritti che nascono dal suo ruolo, mantenendogli la carica cardinalizia ma nello stesso tempo “sterilizzandola”, rendendo cioè la porpora puramente ornamentale e vuota di ogni funzione, potere e facoltà, prima fra tutti quella di partecipare al Conclave per scegliere il pontefice. Il pronunciamento del Papa dunque non è soltanto una misura di cautela, allontanando Becciu dalla Curia, ma è anche un intervento di punizione, o almeno di sanzione. Becciu resta cardinale ma perde la potestà cardinalizia, e Francesco ha voluto che tutto questo fosse reso pubblico, in un’operazione di trasparenza. Evidentemente il Papa si è convinto che nell’azione del Prefetto ci sia non solo un errore ma una colpa, ha visionato le carte squadernate dall’inchiesta de L’Espresso, ha emesso un giudizio e ha deciso la pena. Pesante, a conferma della lotta di Francesco contro la corruzione nella Chiesa, denunciata come una tentazione diabolica: «Il nocciolo della corruzione è un’idolatria, è aver venduto l’anima al dio denaro – ha spiegato qualche tempo fa –. Un vescovo avido di guadagni disonesti è una calamità per la Chiesa. Perché il diavolo entra dalle tasche».
E qui veniamo al terzo elemento, sorprendente e illuminante. Perché Becciu, rompendo con le consuetudini della pia obbedienza, ha convocato immediatamente una conferenza stampa forte del peso mediatico accumulato negli anni alla Segreteria di Stato e ha respinto la motivazione che ha spinto il Papa a defenestrarlo, negando ogni forma di peculato a favore del fratello e ripetendo che Francesco ha commesso «un errore». Naturalmente mentre rompeva il protocollo vaticano che in questi casi prevede il silenzio, Becciu ha premesso che darebbe «la vita» per il Papa, ma ha aggiunto subito dopo che Francesco ha sbagliato. Nonostante questo, con una formula arrischiata mai pronunciata in Vaticano, il cardinale ha detto che «conferma la fiducia» al Papa. È un’evidente inversione del ruoli: è il pontefice che ha appena tolto la fiducia a Becciu, che non può confermarla o negarla nei confronti del Santo Padre. Se lo fa, è per sottolineare le difficoltà di Francesco nella riforma della Chiesa, che lo indeboliscono dentro il Vaticano e fuori. La difesa personale del cardinale diventa così una sfida nei toni e nella sostanza un attacco politico.
Non dimentichiamo che la materia al centro dello scontro è rovente. La crisi finanziaria del Vaticano, cresciuta a dismisura, ha addirittura materializzato davanti al Consiglio per l’Economia della Santa Sede il fantasma finale del sacro default. Anche la contrazione dell’Obolo di San Pietro (le offerte e le donazioni di un mondo cattolico che conta un miliardo e 299 milioni di cattolici distribuiti in 224 Paesi) preoccupa Francesco, perché dopo la punta di 101 milioni del 2006, nel 2015 si scende a 70 milioni. In queste condizioni scoprire che l’Obolo può essere usato a fini familiari e privati, per il Papa è la rivelazione non solo di uno scandalo, ma di un tradimento, che erode la fiducia dei fedeli e riduce di conseguenza i mezzi della Chiesa per l’opera di evangelizzazione e per soccorrere i poveri, materializzando l’incubo di Francesco: il Verbo che risuona nudo nel mondo, spogliato e disarmato dagli scandali e della resistenza della macchina curiale ad ogni cambiamento. Una santa bestemmia.