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 2020  settembre 26 Sabato calendario

Perché cashback e non rimborso?

Non sono tra gli appassionati di purismo linguistico, ma perché mai un rimborso, in Italia, debba chiamarsi cashback (che vuol dire: rimborso) è qualcosa che non ha spiegazione logica. Sono entrambe parole di otto lettere e dunque dire cashback non è più sintetico, come spesso capita passando dall’italiano all’inglese. Piuttosto esclude dalla comprensione immediata molte persone semplici, e sono loro i destinatari più importanti di una campagna che ha lo scopo di incentivare l’uso della carta di credito, usuale per chi fa lo shopping da Harrods, meno usuale per chi fa la spesa a Ladispoli. Promettete loro un cashback, vi guarderanno smarriti e stringeranno al petto le loro banconote. Dite rimborso, capiranno al volo e forse cominceranno a impratichirsi di carte e affini. Scartata dunque ogni utilità funzionale, se l’intero mondo politico e mediatico sta discutendo di cashback e super cashback è per ragioni squisitamente psicologiche. Fa sentire più importanti, gente che ha viaggiato, è il burino che chiede il rimborso, l’uomo di mondo chiede il cashback, “soddisfatti o rimborsati” fa parte della grida da mercato rionale, noi siamo tutti gente in giacca e cravatta che ha dimestichezza con la City.
Rimborso è volgare, fa pensare ai quattrini, cashback è figo, fa pensare alla finanza. Peccato che sia proprio questa ostentata dimestichezza con l’inglese da bancomat a suonare provinciale, niente è più tamarro che travestire la propria quotidianità da qualcos’altro, rimborso è una parola onesta ma suona modesto, chiamiamolo cashback e abbiamo salvato capra e cavoli, anzi goats and cabbages.