Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  settembre 26 Sabato calendario

La difesa di Angelo Becciu

«No, non temo di essere arrestato, perché non mi pare di aver commesso alcun reato. Non so perché mi dovrebbero arrestare. Mi pare tutto surreale. Spero che prima o poi il Santo Padre si renda conto che vi è stato un grande equivoco. Io non ho reso ricca la mia famiglia: andate a Pattada a vedere come vivono i miei». Non sono passate neanche 24 ore da quando Francesco ha chiesto e ottenuto le sue dimissioni e la rinuncia ai «diritti e le prerogative» del cardinalato e Angelo Becciu resta qualche istante in piedi, il capo chino e lo sguardo concentrato in se stesso, prima di affrontare i giornalisti. Nella sala che ha scelto, alle spalle si mostra un grande crocifisso d’argento. «Malgrado tutto mantengo la serenità, rinnovo la mia fiducia nel Santo Padre, gli ho promesso fedeltà fino alla fine, ho promesso di dare la vita per la Chiesa e per il Papa. Io non lo tradirò mai, sono pronto a dare la mia vita per il Papa».
Becciu si difende: i 100 mila euro versati nella sua Sardegna quand’era Sostituto alla Segreteria di Stato sono andati e restano alla Caritas di Ozieri («perché la mia diocesi? Perché la conoscevo e sapevo che ne aveva bisogno per la crisi occupazionale») e non alla coop «Spes» presieduta dal fratello Tonino; con i 600 mila euro in due versamenti della Cei alla coop non c’entra nulla, «mi si fa debito di averla raccomandata, ma anche qui non c’è peculato, non erano miei quei soldi, ho telefonato per dire: prendete in considerazione perché stanno facendo una bella attività che dà lavoro a 60 operai e mantiene le loro famiglie». Lo stesso per le accuse di aver favorito i fratelli: Mario che produce la birra «che ho solo assaggiato» e Francesco «il falegname, al quale ho chiesto solo due porte quand’ero nunzio in Angola e ho chiamato per ristrutturare la casa di Cuba: ma avevo chiesto l’autorizzazione in Segreteria di Stato e quando il Papa fece visita all’Avana mi disse: hai un bel San Giuseppe in casa!».
La frase rivelatrice di come sia potuto accadere è quando racconta che Francesco gli ha chiesto di rinunciare ai diritti legati alla porpora: adesso «non c’è più l’obbligo che un cardinale venga esaminato solo dal Papa o da due o tre cardinali». Ora insomma può essere interrogato e magari finire a processo: «Se i magistrati vaticani mi chiamano sono pronto, ma non ho da loro ricevuto nessuna comunicazione. Solo il Papa mi ha detto del “peculato” che apparirebbe in un’indagine della Guardia di Finanza, immagino su richiesta dei magistrati vaticani».
Il Vescovo di Ozieri, Corrado Melis, conferma la versione di Becciu e scrive che «non c’è nessun atto di favore o illegittimo»: la somma di 100 mila euro «risulta depositata» alla Caritas in attesa che si raggiunga la somma per realizzare «la cittadella della solidarietà». C’è anche una lettera del 3 ottobre 2014 in cui risulta che fu il vescovo di Tempio Ampurias e amministratore apostolico di Ozieri, Sebastiano Sanguinetti, a chiedere un aiuto alla Cei (i 600 mila euro in due tranche) per l’incendio del panificio.
Il racconto del cardinale dell’ultimo incontro con Francesco, «venti minuti», è drammatico. «Fino alle 18,02 di giovedì mi sentivo amico del Santo Padre, un fedele esecutore, e poi lui mi dice che non ha più fiducia in me perché gli è venuta una segnalazione dai magistrati che io avrei commesso atti di peculato». Francesco è solo? «L’ho trovato in difficoltà, ho visto che soffriva». Si fa manovrare? «No, spero di no, oppure gli danno informazioni errate. Fino all’altro ieri il rapporto era bellissimo».