Sette, 25 settembre 2020
Buttiglione: «Berlusconi mi tradì più di una volta»
«Mi sto disintossicando dalla politica italiana. Ormai sono due anni che mi sono ritirato».
Le manca?
«Per nulla».
Sente qualcuno dei vecchi compagni d’avventura?
«Nessuno. Sono stato all’estero. In Italia ho conservato pochissimi rapporti, in generale».
E in particolare?
«Uno. Mia moglie».
Berlusconi, per esempio. Neanche una telefonata?
«Zero. Ma non ci parlavamo già da prima».
Che cosa ha fatto per tutto questo tempo?
(A questa domanda un politico della nouvelle vague non avrebbe resistito alla tentazione cinematografica di emulare il Noodles di C’era una volta in America , rispondendo “sono andato a letto presto”. Rocco Buttiglione no. Il suo rigore di studioso, di filosofo allievo di Augusto Del Noce, l’essere stato un avamposto della sobrietà più estrema persino negli anni del berlusconismo più spinto, ecco, tutto questo lo costringe a dare una risposta normale).
«Ho ricominciato a insegnare, per fortuna il vecchio mondo dell’accademia, che avevo abbandonato per fare politica, mi ha riaccolto a braccia aperte. America Latina, Stati Uniti, Germania, Francia, Spagna: sono stato un po’ ovunque».
L’ex ministro non conosce neanche la legge della vecchia canzone di Ron, parlare dei successi e dei fischi non parlarne mai. Gli va di parlare dei fallimenti, infatti. In questo si conferma il democratico cristiano italiano meno democristiano che sia esistito, tanto distante da Giulio Andreotti o Ciriaco De Mita quanto vicino al cancelliere della Germania riunificata Helmut Kohl.
Il suo fallimento più grande?
«Non aver lasciato alle nuove generazioni un partito democratico e cristiano che fosse tanto distante dalla Dc italiana quanto vicino alla Cdu di Kohl».
Lei arriva in politica chiamato da Mino Martinazzoli, e ci resta fino alla dissoluzione della Dc dopo Tangentopoli.
«L’eredità della Dc all’epoca del bipolarismo si sarebbe potuta salvare in un solo modo. D’Alema e i post-comunisti a fare i social-democratici di là; i cattolici di qua. Come in Germania».
Di qua però c’era già Berlusconi.
«Con Berlusconi nel 1995 facemmo un accordo. Noi democratici cristiani l’avremmo assorbito».
Prego?
«Dopo la fine del suo governo, feci un patto con Berlusconi. Noi democratici cristiani l’avremmo sostenuto in campo nazionale; in cambio, lui avrebbe rinunciato a presentare le liste di Forza Italia alle imminenti elezioni amministrative, sostenendo il nostro scudo crociato. Il disegno era chiaro, Forza Italia sarebbe stata un movimento, lo Scudo crociato il partito destinato ad assorbirlo, prima o poi».
Non andò così.
«Subii da sinistra una scissione che fu animata, ma questo l’avrei capito dopo, da D’Alema. E Berlusconi, di fronte a un partito che aveva appena subito una scissione, si sentì autorizzato a non rispettare gli accordi presi».
In tutte le volte che siete stati alleati e avversari, è stato più Berlusconi a fregare lei o viceversa, professore?
«Fregare è un verbo che contiene in sé tante, troppe cose. Però, se ho capito quello che intende, la risposta è lui me. Io non ho mai fregato nessuno».
Però lei e D’Alema avevate aiutato Bossi a far cadere il governo Berlusconi, nel 1994. Il famoso “patto delle sardine”, così chiamato perché Bossi, ospitandovi a casa sua per quella cena segreta, in cucina aveva solo scatolame.
«Bossi aveva paura che Berlusconi gli stesse sottraendo i parlamentari della Lega. D’Alema temeva che, se Berlusconi avesse continuato a governare, il suo partito sarebbe rimasto all’opposizione a vita, come il vecchio Pci. Io avevo il mio disegno di salvare i democratici cristiani nel nuovo contesto bipolarista».
Mangiaste davvero sardine?
«Diciamo che non badai tanto al menù, quel giorno».
Berlusconi e D’Alema sopravvivevano mentre il sogno dei democratici-cristiani stava per svanire. Colpa loro o vostra?
«Quando perdi non è solo colpa degli avversari. Vuol dire che non eravamo all’altezza».
È vero che D’Alema le aveva proposto di fare il presidente del Consiglio, dopo la caduta di Berlusconi?
«Sì. E rifiutai. Avevo quel disegno politico da compiere; andare a Palazzo Chigi avrebbe complicato, non semplificato, le cose».
Con Cossiga lei poi sarebbe stato uno degli artefici del governo D’Alema, nel 1998.
«Era una questione di carattere mondiale. C’era la guerra in Kosovo, senza l’Italia la missione Nato sarebbe stata più complicata. Era in gioco l’adesione al Patto atlantico».
Poi è di nuovo con Berlusconi, professore. Fu lei ad aiutarlo a entrare nel Ppe.
«C’è un carteggio, rimasto segreto, tra me, Berlusconi e il presidente del Ppe Wilfried Martens, di cui era a conoscenza anche Helmut Kohl. In queste lettere Berlusconi si impegnava, in cambio dell’ingresso di Forza Italia nel Ppe, a far rinascere un partito democratico-cristiano in Italia».
Altra fregatura?
«Diciamo così, non mantenne la promessa».
Però mandò lei a fare il commissario Ue in rappresentanza dell’Italia, nel 2004. Il Parlamento europeo la rispedì indietro per aver detto che «l’omosessualità è un peccato». Lo direbbe ancora oggi?
«Non lo dissi neanche all’epoca. La premessa della frase era - testualmente - I may think , che vuol dire “potrei pensare”. Da cattolico, potrei pensare che l’omosessualità è un peccato».
Lo pensa anche oggi?
«I may think. Potrei pensarlo».
Un’altra volta disse che l’omosessualità era come l’evasione fiscale.
«Mettiamola così. Potrei pensare che comprendo l’evasione fiscale quando le aliquote sono molto alte e il cittadino non riesce a pagare le tasse».
L’evasione fiscale è un reato.
«Ripeto. I may think, potrei pensare».
Voterebbe la legge sulla transomofobia oggi in Parlamento?
«Non saprei, non la conosco».
Se la ricorda la battuta, secondo alcune fonti ascrivibile al comico Beppe Grillo, «se Buttiglione è un filosofo, Aristotele allora che cos’era?»
«A dire il vero no. Me ne ricordo una di Gianni Vattimo, che mi accusava di non essere un filosofo perché non avevo una bibliografia».
Se la prese?
«Tutt’altro. Gli mandai il mio libro Etyca wobec historii (l’etica davanti alla storia, ndr) pubblicato in Polonia e un dizionario polacco-italiano, nel caso non fosse stato pratico della lingua».
E quella volta che nel 2007 partecipò alla battaglia per avere il gelato nel bar del Senato?
«Un esempio di come, a volte, succedano le tempeste per un nonnulla. L’amica e collega Albertina Soliani aveva promosso una mozione in tal senso e io gliel’avevo firmata».
Carmen Russo, anni fa, la censì tra i suoi uomini ideali. Se lo ricorda?
«Se devo essere sincero, no».
Pare che sua moglie ne sia stata lusingata e felice, professore.
«Addirittura felice dei complimenti che Carmen Russo avrebbe fatto al sottoscritto? Diciamo che, conoscendola, faccio fatica a crederlo». (E Buttiglione, dopo un’ora e passa d’intervista, rise).