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 2020  settembre 25 Venerdì calendario

Biografia di Maryam Durani

Al posto del burqa indossano un niqab nero che lascia scoperta almeno una fessura per gli occhi. Una conquista minima ma importante nella città che ha visto nascere i Taleban ed è stata l’ultima roccaforte del mullah Omar a cadere, nel dicembre del 2001. Kandahar è il cuore dell’Afghanistan pashtun, integralista, che da secoli segrega le donne dietro le mura di casa e impone il velo islamico più rigido che esista. Ed è qui che Maryam Durani, una delle attiviste afghane più note, ha aperto la prima palestra per donne.
Con tutte le sue limitazioni, è una sfida aperta agli “studenti barbuti”, tanto più adesso che stanno per tornare al potere, dopo l’accordo firmato a Doha per il ritiro delle truppe americane entro aprile del prossimo anno, e i colloqui in corso con il governo di Kabul per un governo di “unità nazionale”. Salvo marce indietro dell’ultimo minuto ci sarà un esecutivo con dentro ministri talebani. E le donne che hanno lottato per la libertà in questi due decenni si chiedono che fine faranno le loro conquiste, costate sudore e anche sangue, temono il ritorno di un regime come quello del mullah Omar, quando le lapidazioni delle adultere negli stadi erano un fatto quotidiano.
Maryam Durani ha voluto giocare d’anticipo. Indietro non si torna. La 36enne gestisce già una stazione radio per donne, ha fatto parte del consiglio provinciale ed è stata premiata con l’International Women of Courage Award da Michelle Obama per il 2012. E adesso la sua palestra attira cinquanta ragazze al giorno. «La reazione delle donne è stata molto positiva perché ne avevano bisogno – ha confermato -. Quello che mi ha infastidito è stata la reazione degli uomini che ci accusano di violare la sharia». Il ritorno a Kandahar è sempre uno dei viaggi più difficili al mondo. L’idea di lasciarla e gettare al vento tutto quello che ha costruito non passa neppure per la testa di Durani. Il mondo è cambiato e lo è anche l’Afghanistan. Nelle trattative a Kabul la condizione delle donne è al primo punto. «La mia unica preoccupazione sono i diritti delle donne, quali libertà ci vogliono togliere, che restrizioni verranno reintrodotte», conferma.
Né lei né le sue ragazze intendono arrendersi così facilmente. Sui social riappaiono le foto degli anni Sessanta e Settanta. Studentesse con i capelli cotonati al vento, gonne sopra al ginocchio, ricercatrici nei laboratori medici, operaie con la mascherina di protezione ma senza alcun velo. L’Afghanistan non è sempre stato il regno del terrore e dell’oppressione. La storia può imboccare un’altra strada.