La Stampa, 25 settembre 2020
Time premia le donne che sfidano il potere
Hanno osato sognare, e continuano a farlo. Le donne premiate da Time con l’inclusione nella lista dei cento personaggi più influenti dell’anno, hanno storie diversissime ma il filo rosso che le lega potrebbero essere i versi stampati sul vestito che la regista siriana Waad al-Kataeb indossava a Hollywood per la nomination del suo documentario "For Sama". «Abbiamo osato sognare e non rimpiangeremo la dignità». Le scelte della rivista americana privilegiano figure «in lotta contro il potere», più che le «donne di potere». Ci sono le fondatrici del movimento Black lives matter, Patrisse Cullors, Alicia Garza e Opal Tometi, note al pubblico statunitense, e altre meno conosciute, come Bilkis, l’82enne indiana che si batte contro la nuova legge sulla cittadinanza voluta dal premier Narendra Modi, discriminatoria nei confronti della minoranza musulmana, o la giovane giapponese Shiori Ito, che ha scoperchiato il verminaio di maschilismo e sopraffazione dietro le quotidiane angherie sessuali.
È come se due correnti si scontrassero e dai flutti emergessero soprattutto figure femminili. Regimi sempre più autoritari, voglia di libertà indomita. L’Indice mondiale della democrazia, redatto dal settimanale britannico The Economist, continua è sceso da 5,48 a 5,44 punti nell’ultimo anno. Il Medio Oriente è attraversato da una "restaurazione" autoritaria che ha spazzato via i sogni delle primavere arabe, strette nella morsa del fanatismo jihadista da una parte e delle dittature laiche dall’altra. La reporter e regista Al-Kateab ha vissuto questa tragedia sul fronte più sanguinoso, Aleppo. Con una videocamera ha raccontato il lungo assedio, i medici sotto il fuoco per salvare altre vite, le scuole nelle cantine scosse dalle bombe. E poi la sua storia, l’incontro con il marito Hamza, la nascita di Sama, sua figlia. «Gira tutto attorno a lei – ha commentato dopo aver ricevuto il riconoscimento da Time -. Non è soltanto mia figlia, rappresenta tutti i bambini siriani».
Dopo la caduta dei ribelli ad Aleppo, alla fine del 2016, Al-Kataeb è fuggita in Gran Bretagna. Altre non ce l’hanno fatta, altre hanno deciso di continuare la lotta in patria. Come Lina Attalah, direttore del giornale online di opposizione Mada Masr, anche lei nella lista di Time. Lo scorso dicembre Attalah è stata arrestata e poi rilasciata, il suo giornale è stato chiuso e poi riaperto, in una battaglia continua contro il governo del presidente Abdel Fatah al-Sisi. Il suo motto è «creare problemi al potere», in una visione del giornalismo engagé e ad alto rischio. Attalah è stata fermata dalle forze di sicurezza davanti alla famigerata prigione di Tora, dove è rinchiuso anche lo studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki. Intervistava la madre di uno dei detenuti, preoccupata per il dilagare del coronavirus nel carcere. Il procuratore ha trovato un cavillo legale per chiudere il sito. Ma Mada Masr continua a pubblicare, Attalah non si arrende.
Come non si arrende Bilkis. Per tre mesi ha guidato la protesta contro il Citizenship Amendment Act voluto dal primo ministro Modi, che rende più difficile agli immigrati musulmani ottenere la cittadinanza. Dal 15 dicembre al 24 marzo è rimasta nel sit-in nel quartiere di Delhi Shaheen Bagh, davanti agli uffici governativi, con un rosario in una mano, la bandiera dell’India nell’altra, nonostante il freddo, la pioggia. Soltanto l’epidemia di Covid l’ha costretta a tornare a casa. La battaglia continua comunque, il volto di Bilkis, incorniciato dal fazzoletto a fiori, è diventato un’icona. Anche Modi è nella lista delle cento figure più influenti. Ma Bilkis è «un simbolo di resistenza in una nazione in cui la voce delle donne e delle minoranze viene sistematicamente messa a tacere», scrive Time.
Anche l’altro grande Paese democratico in Asia, il Giappone, ha i suoi problemi. L’emancipazione femminile è di facciata, specie nelle aziende. Shiori Ito non ha voluto accettarlo. Si è battuta contro il suo molestatore, uomo d’affari con amicizie altolocate in politica. Non è riuscita a mandarlo in galera ma ha vinto la causa civile, un punto importante per il movimento #Metoo giapponese. Dall’altro lato del Mar del Giappone, in Corea del Sud, è stata invece premiata Jung Eun-kyeong, la "zarina anti-coronavirus", che ha contenuto l’epidemia e ha fatto del suo Paese un modello nella lotta al Covid-19.