Il Messaggero, 25 settembre 2020
1QQAFA10 Intervista ad Andrea De Carlo
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«Lo sguardo multicolore di cui parlava Italo Calvino non l’ho perso, i lettori mi seguono e mi diverto a scrivere. Ma certe scelte professionali hanno delle conseguenze». Il 67enne Andrea De Carlo sbarca in libreria con il suo ventunesimo romanzo, Il teatro dei sogni (La Nave di Teseo) firmando una pungente commedia che prende di mira il mondo della politica e l’improvvisazione generale: «non è affatto vero che uno vale uno, è una falsità».
Ambientato a Cosmarate, una fittizia provincia del Nord, De Carlo racconta la distanza fra sogni e realtà in un romanzo agrodolce, seguendo le mosse di quattro personaggi che si accapigliano sul ritrovamento di un anfiteatro: l’inviata di una trasmissione tv trash, l’assessore di un partito sovranista, il sindaco di un movimento populista e infine, un marchese idealista e sognatore. Una commedia sociale che strizza l’occhio a Balzac, prendendo di mira due partiti sulla scena nazionale, mettendo virtù e vizi del Belpaese.
L’autore di Treno di panna (1981) e Due di due (1989) ha raggiunto subito la celebrità ma tenersela stretta è un’impresa ardua al tempo degli YouTuber. Oggi ha lasciato la sua Milano, disegna le copertine dei suoi libri, annuncia che verrà tratta una serie tv tedesca da Villa Metaphora (2012) e ricorda la scelta choc di lasciare la giuria dello Strega, «disgustato da quel mondo di amichevoli ricatti».
Cos’è Il teatro dei sogni?
«Rappresenta la bellezza perduta, la bellezza svenduta di quest’Italia devastata. Uno dei quattro protagonisti del romanzo, il marchese Guiscardo Guidarini, porta alla luce un bellissimo anfiteatro nel disinteresse generale ma appena la notizia viene ripresa dalla tv, i politici locali si azzuffano per metterci le mani sopra e il teatro diventa anche un simbolo di cupidigia».
L’assessore de l’Unione Nazionale e il sindaco di Rivolgimento ovvero Lega e 5Stelle. Come giudica questa politica?
«Senza appello e scoppia a ridere i 5Stelle sono stati una grande promessa, la possibilità di rompere la vecchia politica ma hanno dimostrato limiti fortissimi e mancanza di preparazione».
Uno non vale uno?
«Uno slogan molto efficace ma falso. Ricordate 1984 di Orwell? C’è sempre qualcuno che è più uguale degli altri. Il Movimento è un marchio registrato, un grande paradosso».
I suoi colleghi difficilmente prendono una posizione politica nei romanzi. Come mai?
«Mi sembra difficile che non abbiano le idee chiare, forse sono solo prudenti. Altri si rifugiano dietro le ideologie e i partiti, una posizione molto comoda».
Nel giugno del 2009 ha lasciato la giuria del Premio Strega. Perché?
«Mi disgustava il commercio dietro le quinte. La raccolta sfacciata dei pacchetti di voti, la pressione sui votanti. Sullo Strega gravitava un mondo di scambio di favori e alla fine, l’imbroglio sui lettori».
Vincono solo cattivi libri?
«No, può capitare che trionfino anche bei titoli ma spesso non dipende da quello, sono solo strategie editoriali».
Una decisione che ha pagato?
«Sicuramente. Non ho accettato di far parte del club e scambiare favori con loro».
Ventuno romanzi all’attivo ma dopo il grande successo di Due di due, Yucatan e Treno di panna si è un po’ perso?
«I primi due romanzi hanno avuto un successo critico forse anche eccessivo, dal terzo in poi, Macno (1984) ho potuto vivere con la scrittura e anno dopo anno, romanzo dopo romanzo, ho sempre venduto molto. Ma è vero che non andando in televisione e non collaborando con i giornali sono stato un po’ fantasmatico, chissà, magari mi verrà voglia di essere più visibile».
Lo sguardo multicolore con cui Calvino la elogiò, resiste?
«Spero proprio di non averlo perso. Sono sempre curioso e ho voglia di guardare con ironia il mondo che mi circonda».
Per via del Covid-19 ha lasciato Milano per la Liguria. È spaventato?
«Sì, non dimentichiamo che Sepulveda si è ammalato durante un festival letterario, non è affatto un problema superato. Per questo motivo non farò incontri dal vivo».
Le donne che racconta sono costrette ad essere perfette per essere prese sul serio?
«Scrivere di due personaggi femminili l’assessore e la giornalista tv mi ha permesso di riflettere sul fatto che sono tutti pronti a giudicare le donne, costrette ad essere doppiamente attente per essere credibili. In Italia la parità di diritti è solo apparente».
La polemica sulla pari rappresentanza femminile nei festival la appassiona?
«È un tema necessario. Un festival sull’eros o la bellezza con il 99% di uomini in programma non può lasciare indifferenti».
Oggi lei cosa sogna?
«Continuo ad immaginare un mondo diverso con un rapporto più equilibrato con il pianeta su cui viviamo».