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 2020  settembre 24 Giovedì calendario

La barriera del Mose è pronta ma restano rischi

La “ferraglia” funziona, i milioni di tonnellate di acciaio e di calcestruzzo si alzano e chiudono l’acqua alta fuori dalla laguna di Venezia. Ciò che va completata invece è la parte impercettibile ma altrettanto importante: servirà l’esperienza per capire come far funzionare il Mose, il colossale sistema di dighe mobili a scomparsa che da quest’autunno – sì, già da quest’autunno – dopo infiniti lavori e dopo spese galattiche possono salvare Venezia dai disastri dell’acqua alta. Manca da spendere: un miliardo.
Anche se incompleto, finalmente il Mose è tecnicamente pronto per difendere Venezia dalle alte maree tipiche dell’autunno. Tutto risolto, quindi? No, problemi ce ne sono mille e se ne scoprono di nuovi ogni volta che lo si fa lavorare. Ma la macchina colossale lavora. Il Mose è una macchina, complessa e unica al mondo, da usare senza esperienza alcuna nella complessità di una laguna pregiata in cui vi sono città abitate, due porti attivissimi, zone industriali, allevamenti ittici, un tesoro artistico unico. Il rischio di far danni è molto alto.
A che punto è il Mose
L’opera colossale del Mose, 78 paratoie giganti d’acciaio immorsate sul fondo del mare, fu immaginata dagli anni ’70 per salvare la città che sprofondava e dal mare che si alzava. Corollario: l’opera avrebbe dovuto essere invisibile, non certo come i catafalchi di cemento che deturpano le foci del Tamigi e della Schelda.
Primavera 2003: in favor di telecamere il premier Silvio Berlusconi aprì il cantiere. Dopo 11 anni di spese babilonesi, nel 2014 in favor di manette la procura fermò l’opera e affidò i lavori del Consorzio Venezia Nuova al controllo stretto delle istituzioni e alle cure severe di tre commissari. Fino ad allora erano state posate le soglie enormi di calcestruzzo sotto il fondo delle tre bocche di porto (Lido, Malamocco, Chioggia). Mancava il resto.
Ormai a fine lavori, dal novembre scorso per accelerare la conclusione il Governo ha affiancato ai commissari la supercommissaria Elisabetta Spit. Siamo oltre il 92% di opere eseguite, «forse attorno al 94-95%», commenta la supercommissaria Spitz che monitora lavori e pagamenti a imprese e lavoratori.
Come l’aeroporto di Berlino
Il capitolo tempi e costi va da sempre in parallelo con il mai finito flughafen Berlin Brandeburg, in costruzione ritardata da 20 anni a Schönefeld con una spesa già salita a una previsione di 7 miliardi.
Finora il Mose è costato 4,3 miliardi, l’ipotesi finale s’aggira sui 4,93 miliardi per una spesa reale, compresi taglio del nastro e spumante finale, di 6,4 miliardi (2.284 milioni in conto capitale e 4.116 milioni di contributi pluriennali).
Prego, il conto. Se lo Stato non li ha già dissipati, come fa pensare il mutismo del Governo, ci sono 500 milioni nominali (413 reali) di residui sugli interessi. Un centinaio di milioni aggiusterà i difetti di progettazione emersi dalle prove tecniche. Un centinaio di milioni l’anno servirà per l’avviamento triennale dopo la consegna del Mose allo Stato a fine 2021; questa fase è già avviata in attesa del contratto formale.
Il funzionamento
Spiega la supercommissaria Spitz che il Mose è un’opera “ridondata”, cioè impianti e dispositivi sono raddoppiati per affrontare anche le situazioni di emergenza. Dice Spitz: «Per accelerare, invece di lavorare in parallelo abbiamo deciso di concentrarci sul sistema primario e far funzionare il Mose subito».In luglio è stata fatta la prima prova generale di funzionamento, scoprendo alcuni difetti; ai primi di settembre la seconda prova generale di funzionamento, da cui è emersa la necessità di tarare meglio il colossale meccanismo. La terza prova generale sarà fra un paio di settimane.
Manca il know how
Che manca? Le prove condotte finora dicono che manca soprattutto la conoscenza pratica e reale su come aprire e chiudere le porte della laguna al mare e all’acqua.
Per esempio, l’acqua alta disastrosa del novembre 2019 fu una sequenza di cambiamenti meteorologici violenti nel volgere di pochi minuti l’uno dall’altro; se il Mose fosse stato usato in modo semplice, apri-chiudi, la marea senza vie d’uscita avrebbe potuto essere ancora più alta e disastrosa. Oppure, va chiarito il modo di gestire eventi e danni indiretti, come errori, come la fermata delle attività del porto o se navi in tempesta chiederanno aiuto (e risarcimenti) a porto sigillato.