Corriere della Sera, 24 settembre 2020
I surfisti che aspettano l’onda perfetta
Viste dalla riva le onde superano i tetti delle case. Di almeno sette piani. Su questa costa i cubi bianchi con le reti appese ai muri sono stati costruiti ben piantati a terra, per non farsi notare dalla forza dell’oceano e del vento.
Le mareggiate che colpiscono la Praia do Norte, la spiaggia a Nord, superano d’inverno i venticinque metri di altezza e l’immaginazione dei pescatori locali: non avrebbero mai pensato che qualcuno potesse tentare di dominarle, montagne liquide da valicare attaccati a una moto d’acqua e da discendere su una tavola a gran velocità prima che ti schiantino con la loro potenza.
Nazaré sta a Nord di Lisbona e dritta davanti a un canyon sottomarino profondo cinquemila metri e lungo 227 chilometri: l’Atlantico vi scorre dentro come un fiume in piena fino alle rocce della costa, l’impatto con l’Europa fa esplodere l’acqua verso l’alto. Da questi villaggi i portoghesi sono emigrati ovunque, hanno raggiunto le Hawaii, ci hanno ritrovato un oceano gigantesco e qualcuno dice che ci abbiano lasciato l’ukulele, originario dell’isola di Madeira.
Come nei riflussi delle correnti marine, dalle Hawaii è arrivato qui una decina d’anni fa Garrett McNamara, che a 53 anni è uno dei pionieri del surf estremo, ed è alla ricerca dell’onda mitologica, quella da cento piedi, oltre trenta metri. In Portogallo ha per ora lasciato la scia di schiuma bianca su un’altezza di 23,77 metri e ha così stabilito il record mondiale nel 2011, battuto nel 2017 dal brasiliano Rodrigo Coxa con 24,38.
«L’onda grossa è per un macho tutto st... che cerca la morte», avverte Tyler, la fidanzata del protagonista di Point Break. «Non avrebbe dovuto trovarsi lì, non ne ha l’abilità», ha commentato Laird Hamilton. Invece Maya Gabeira l’11 febbraio ha infranto il muro d’acqua del sessismo: ha gareggiato in un trofeo per maschi e ha migliorato il primato (personale e mondiale) schizzando sull’onda più alta registrata in questa stagione invernale, 22,4 metri. Per la campionessa brasiliana, 33 anni, non è stato facile tornare ad affrontare le mareggiate di Nazaré, dove ha scelto di vivere dal 2016 e dove sette anni fa ha rischiato di morire: travolta dall’oceano, la tavola spaccata rotolata a riva prima di lei che è rimasta qualche minuto sott’acqua, frullata dall’immensa lavatrice. È stata portata fuori a braccia da un amico, salvata sull’ambulanza, ha subito quattro operazioni alla schiena.
È allora che Hamilton, decano del big wave surfing, le ha consigliato di mollare in diretta globale sulla Cnn. Uscita dall’ospedale, Maya ha ricominciato ad allenarsi, soprattutto si è addestrata a sopravvivere: sessioni in piscina per aumentare la capacità di restare in apnea e corsa trattenendo il fiato per alcuni tratti.
«Per molti anni dopo l’incidente – dice all’agenzia Reuters — ho cercato di superare il trauma e surfare non era più divertente».
Racconta che la bomba di questo febbraio a Nazaré si propagava davvero come un’esplosione e «dall’intensità del rumore ho capito che stavo cavalcando qualcosa di enorme».
Perché i suoi record venissero riconosciuti – l’ultimo è stato confermato alla metà di settembre dopo mesi di analisi – ha dovuto tempestare di email i dirigenti della World Surf League e convincerli a inserire la categoria donne nel premio all’onda più grande. La cerimonia si è svolta in cima al faro di Nazaré, quel cono rosso che in centinaia di foto appare minuscolo di fronte all’Everest del surf.