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 2020  settembre 23 Mercoledì calendario

QQAN10YMIGRANTI Il manuale tedesco per insegnare ai musulmani

QQAN10YMIGRANTI

Una mia amica insegna a Berlino in una classe di bambini stranieri, quasi tutti musulmani. «È un problema tenere la distanza per il Covid», mi dice, «la maestra deve stabilire un contatto con gli scolari, uno per uno, non parlare dalla cattedra a un gruppo di allievi. E più importante della lingua è spiegare come comportarsi nella società in cui sono arrivati, o dove sono nati, ma in una famiglia di cultura diversa».Le sarà utile il libro di Ahmet Toprak Muslimisch, Männlich, Desintegriert (Econ Verlag, 28 euro), musulmani, maschi, disintegrati, un manuale per gli insegnanti. I giovani immigrati spesso interrompono gli studi, sono disoccupati, diventano violenti, si radicalizzano. La colpa in gran parte è delle famiglie. I genitori hanno grandi attese, successo, molti soldi, e allo stesso tempo rispetto delle tradizioni familiari. Una contraddizione, se si vive in Europa. Il padre dovrebbe essere un modello in cui identificarsi, ma il 30-40% è disoccupato, e non parla tedesco. Un suo saggio precedente ha per titolo Muslimische Jungen, Prinzen, Machos, Verlierer?, giovani musulmani, principi, macho, perdenti? Il fallimento è sempre colpa degli altri, dell’ambiente in cui si trovano a vivere, dei tedeschi che li discriminano.
Un’esperienza personale. Toprak, nato nel 1970 in Turchia, venne in Germania a dieci anni, oggi è professore di pedagogia a Dortmund. «Ma mio padre voleva che diventassi fabbro, mi obbligò a superare la maturità in Turchia, se non ce l’avessi fatta, sarei tornato in Germania per fare il manovale». Sua madre è analfabeta. I genitori non vengono quasi mai alle riunioni a scuola, e quando i figli compiono degli errori, entrano in conflitto con gli insegnanti, non intervengono, danno la colpa alla scuola. I maestri e i professori, scrive, devono prendere il posto dei genitori, essere educatori, non solo insegnanti, quello che ha capito la mia amica. Ed è facile compiere altri errori.
Mai rimproverare l’allievo dicendo «ma a casa tua ti comporti così?», viene sentito come una discriminazione razziale. E mai essere permissivi, bisogna mediare tra autorità e liberalità. Si devono porre limiti precisi che non devono essere superati. I professori credono di essere tolleranti e di conquistare l’allievo, ma il ragazzo al contrario si sente trascurato, pensa di poter agire come vuole.
Bisogna parlare in modo chiaro, e conoscere le tradizioni familiari turche o arabe. «Se l’allievo evita di guardare negli occhi l’insegnante», dice Toprak, «viene rimproverato: guardami in faccia quanto ti parlo. Ma per il ragazzo è un segno di rispetto… si deve spiegare che nelle scuole tedesche ci si comporta diversamente, senza adirarsi». Il professore pensa di rinunciare alla sua autorità per stabilire un rapporto alla pari con gli allievi, ma ciò viene interpretato come una debolezza.
Un problema è il rapporto tra i sessi. È un errore per una professoressa dire «ma ti comporti così con tua madre?». Il giovane maschio musulmano non deve identificare l’insegnante con la madre, la deve rispettare come donna che ha un ruolo, ed è competente. Ai figli maschi viene concessa subito una grande libertà, ma i genitori non esercitano il controllo necessario. Paradossalmente, sono le ragazze a integrarsi meglio. Il padre musulmano rispetta la figlia se va avanti negli studi, purché non si ribelli apertamente. In percentuale sono più le ragazze musulmane a superare l’Abitur, l’esame di maturità. E spesso, nota Toprak, sono le madri a ostacolarle, più dei padri, perché inconsciamente temono che le figlie siano diverse da loro.