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 2020  settembre 23 Mercoledì calendario

Periscopio

Tutti dissero che era in preda a pazzia galoppante. Il padre: «Secondo me è già galoppata». Walter Siti, Scuola di nudo. Rizzoli, 2014.
Kisingo spinge forte sull’acceleratore della Mercedes, tira giù il finestrino, si lascia accarezzare il viso dal vento bagnato del Lungotevere. Aldo Cazzullo, Fabrizio Roncone, Peccati immortali. Mondadori, 2019.

I puri spiriti, da Gad Lerner a quelli del Fatto, mi danno del voltagabbana. Si tratta di un osceno e fastidioso moralismo. Io sono un legno storto, sentina di tutti i vizi, fallibile come ogni essere umano. Quelli che invece si proclamano perfetti sono degli st..zi che coprono le proprie vergogne. Claudio Velardi (Giancarlo Perna). Libero.

Umberto Terracini, pci, con un’attualità agghiacciante, nel dibattito parlamentare nel 1946 osservava «che la diminuzione del numero dei componenti sarebbe interpretata come un atteggiamento antidemocratico, visto che, quando si vuole diminuire l’importanza di un organo rappresentativo, s’incomincia sempre col limitarne il numero dei componenti, oltre che le funzioni». E, come se non bastasse, entrando a gamba tesa nel dibattito di questi giorni alimentato dai grillini a proposito dell’alto costo di un’assemblea parlamentare numerosa, Terracini rilevava che «se una nazione spende più per avere buone leggi, non si può dire che la spesa sia eccessiva, specie se le leggi saranno veramente buone». Così parlava Terracini, ai tempi della costituente. Oggi però in Italia le leggi le fa l’avvocato del popolo Giuseppe Conte, che riesce a farle passare con la formula dei famigerati Dpcm o il «salvo intese», sull’assunto che meno parlamentari a controllare ci saranno, meglio sarà. Con buona pace del nostro Capo dello Stato che, a differenza del suo predecessore Luigi Einaudi, firma quasi tutto. Luigi Bisignani. Il Tempo.

La Germania ha il complesso di Cartagine. «Cartagine deve essere distrutta» ed essa lo è stata dopo tre guerre. Essa ha guadagnato la prima, perso la seconda, la terza l’ha rasa dalla carta del mondo. I tedeschi temono che una sorte delle genere possa colpirli. Brigitte Sauzay, La vertigine tedesca. Olivier Orban, 1985.

In una celebre scena dei Blues Brothers, Jake (John Belushi) incontra la sua ex fidanzata. Il luogo dell’incontro, una fogna, non è particolarmente romantico. Ma il problema principale di Jake è un altro: la fanciulla imbraccia minacciosamente un fucile d’assalto M16, e vuole spiegazioni sul perché Jake l’ha lasciata sola all’altare nel giorno delle nozze. Jake se la cava così: «Ero… rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C’era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia!». La crisi che stiamo vivendo ci è stata spiegata così. Vladimiro Giacchè, Titanic Europa. Alberti Editori, 2012.

«Falling man» è l’uomo che precipita dal grattacielo di NYC colpito dai terroristi e che, dopo 19 anni, ancora non ha un nome, e forse non l’avrà mai. È immortalato nello scatto preso l’11 settembre 2001 alle 9, 41 minuti e 15 secondi da Richard Drew, un fotografo dell’agenzia Associated Press. Uno che la Storia con la «S» maiuscola se l’era già vista passare davanti all’obiettivo più volte: per dire, era di fianco a Robert Kennedy il 5 giugno 1968, all’Ambassador Hotel di Los Angeles. Stava seguendo la trionfale campagna elettorale per le primarie del fratello di JFK: era così vicino a Robert che, quando il profugo palestinese Shiran Shiran, sparò a Kennedy tre colpi calibro 22, il sangue del presidente che gli Usa non hanno mai avuto gli imbrattò la giacca. Ma Drew non si fece paralizzare dallo choc: saltò anzi in piedi su un tavolo e scattò molte foto di Kennedy agonizzante. Maurizio Pilotti, Libertà.

Quando Trump ha vinto mi sono fatto una grande risata perché io la spocchia dei democratici americani proprio non la sopporto. Mi sono svegliato felice scoprendo che il sogno di vittoria di Hillary Clinton era crollato. E quello che l’ha fatto crollare è... un essere inqualificabile come Trump! Giovanni Lindo Ferretti, dressatore di cavalli e musicista (Luca Valtorta). Repubblica.

Mi piace, papà, l’idea di scriverti, come vorrei fare in questa rubrica sulla Gazzetta di Parma, il tuo giornale di quando avevi vent’anni. Ragazzo ancora, passavi, hai scritto, davanti al portone in via Saffi, arrossendo del tuo ardente desiderio di lavorare lì. E mi immagino l’odore del piombo delle rotative dai sotterranei, e tu che lo aspiravi inebriato. Poi, quell’odore si confondeva con la nebbia degli antichi inverni, quella che non c’è più, quella densa, fitta da tagliare col coltello. E il piombo del giornale e la nebbia della tua Parma ti erano nel sangue, per sempre: ansia di storie da raccontare, di volti sconosciuti da incontrare, ma dentro, ancora, quel biancore latteo e misterioso, mondo di mezzo padano. Marina Corradi, Lettere a mio padre. Gazzetta di Parma.

Ho ricevuto proposte da tutte le altre radio, ma ho capito che volevano solo togliere un piede al tavolo. Nel caso mio e di Linus, uno più uno fa cinque, non due. Anche Mick Jagger ha fatto cose da solista, ma non belle come con i Rolling Stones. Nicola Savino, deejay con Linus (Elvira Serra), Corsera.

La chiesetta di Tobruk sembra matura per il crollo, così squarciata e pericolante, eppure n’esce un suono lieve, lo scampanellio di una messa. L’interno è un ammasso di mattoni, calcinacci, travi crollate e scheggiate, banchi bruciacchiati. Soltanto l’altare è stato un po’ spolverato e sui gradini hanno messo in piedi un grande angioletto di cartapesta mutilato d’una mano e di un’ala, eppure colorito e sorridente nel viso inespressivo e femmineo. Paolo Caccia Dominioni, El Alamein. Longanesi, 1966.

«Vi sono veleni che tu assorbi senza accorgertene; così è la religione e certe mitologie politiche». Era la frase del professor Viviani che il giovane Oberdan ricordava al liceo mentre spiegava con ispirazione la filosofia di Benedetto Croce. Ci stette poco. La scolaresca seppe che il preside l’aveva spedito a Napoli, con il suo Benedetto. Ma prima di andarsene Viviani parlò di D’Annunzio: «È un corruttore della lingua; la traveste come a carnevale. Il figlio di un operaio, che impara a parlare come D’Annunzio, sputerà in faccia al padre». Luigi Preti, Un ebreo nel fascismo. Rusconi 1974.

Di una donna mi piacciono pazzamente le gambe. Peccato ne abbia solo due. Roberto Gervaso.