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 2020  settembre 23 Mercoledì calendario

8QQAN40 Biografia di Heinrich Himmler attraverso le lettere

8QQAN40

Nazionalsocialista dal 1923, «tessera n. 156» del partito, occultista fanatico, dal 1936 Reichsführer della polizia tedesca, poi del Reichssicherheitshauptamt (RSHA, l’Ufficio centrale della sicurezza del Reich) e infine ministro dell’interno, Heinrich Himmler nelle ore d’ufficio era il responsabile della soluzione finale e si occupava d’Untermensch, di «giudei» e d’altri «subumani» da internare e gassare nei campi. Nei momenti liberi dalle atrocità scriveva alla moglie Marga (che aveva sposato nel 1928 e dalla quale aveva avuto una figlia, Gudrun) chiamandola «mammina» e firmandosi «papino».Sono uscite da Newton Compton, anni fa, e vale la pena tornarci sopra, le oltre 700 lettere che Himmler e signora si scambiarono tra il 1924 e il 1945. Curato dallo storico tedesco Michael Wildt e dalla politologa Katrin Himmler, pronipote del grande assassino, Heinrich Himmler. Il diario segreto non aggiunge niente di nuovo o di significativo alla storia del Terzo Reich. In parte acquistato da un ufficiale americano nel primo dopoguerra e poi ceduto all’università di Stanford in California, in parte scoperto anni fa in Israele, il carteggio non contiene rivelazioni particolari. Come ha spiegato Katrin Himmler a Le Monde: «La scoperta di questi documenti non significa che adesso si debba riscrivere la biografia di Himmler o la storia del Terzo Reich». Ma di sicuro è un altro capitolo che s’aggiunge, con le sue sdolcinatezze e la sua indifferenza per gli orrori, alla storia universale dell’infamia e, in particolare, al vasto catalogo novecentesco della banalità del male.
Michael Windt, in un’intervista a Libération, dice che «a torto», e per così dire banalizzando, Hannah Arendt parlò di «banalità del male». Una categoria che, a giudizio di Windt, non s’applicherebbe neppure ad Adolf Eichmann, l’insulso funzionario nazista che, dopo una lunga latitanza in America latina, fu processato e condannato a morte nel 1962 a Gerusalemme ispirando all’autrice delle Origini del totalitarismo (Einaudi 2009) l’idea che il Male maiuscolo possa essere opera d’omiciattoli minuscoli, «incapaci d’immaginare le conseguenze delle proprie azioni».
Windt protesta: il Reichsführer Himmler non fu un impiegatuccio ma un ingegnere del male. Ingegnere o burocrate, si tratta naturalmente della stessa cosa, come Arendt capì subito, da quell’heideggeriana irriducibile che era: nell’età della Tecnica cresciuta a dominio universale, quando «l’uomo si veste orgogliosamente della figura di signore della terra», è già tanto che gli Eichman e gli Himmler siano semplici ingranaggi della macchina.
A dispetto del suo potere di vita e di morte sui nemici della patria, a dispetto del suo fanatismo razzista e del suo «paganesimo» da fumetto, Himmler fu una nullità con i calzoncini di cuoio a mezza gamba e una piuma sul cappello: uno ’zi nisciuno del terrore, come dimostra ad abundantiam il carteggio insignificante e smielato con Marga, la sua «mogliettina d’oro», la sua «incantevole amata», il suo «caro tesorino», alla quale si rivolge come «il tuo lanzichenecco selvaggio», il tuo «cattivo marito».
Marga, come Heinrich, è una nazista convinta, membro del partito. Chiama gli ebrei «la banda» e, se a volte è magari un po’ seccata dal fatto che il suo «caro», il suo «bello adorato», invece di tornare a casa per il weekend, resta fuori perché «c’è un’enorme mole di lavoro» da fare, capisce benissimo che «il Führer», «la patria», «la razza» e «il lavoro» (sappiamo quale, l’anno è il 1941) vengono prima di tutto. Sono persone gelide, prive d’empatia, che anche tra loro, persino nelle lettere che si scambiano all’epoca del fidanzamento, tra innamorati, fingono sentimenti che evidentemente non riescono a provare, come dimostrano le frasi fatte alle quali ricorrono per vezzeggiarsi, la scipitezza delle confidenze, la convenzionalità e il grigiore degli affetti. Intorno infuria la guerra totale, nei campi fumano i camini e, mentre Himmler scrive che accarezza la sua «amata fronte», Marga risponde che bacia la sua «adorata bocca»: Liala e l’Apocalisse.
Stanno poco insieme, la «cara, cara sciocchina» e il suo «buono, bello adorato». Lui è sempre in giro, all’inizio per organizzare il partito, le campagne elettorali, le conferenze di Hitler, poi perché c’è uno stato totalitario da organizzare, la Gestapo da istruire, i bolscevichi da internare, infine perché c’è una guerra totale, i campi, il genocidio, Stalingrado, l’Italia («che popolo ha creato Mussolini!») Si anima un po’, il carteggio tra «mammina» e «papino», quando si parla della piccola Gudrun o del piccolo Gerhard, loro figlio adottivo, entrambi educati «all’ordine, alla pulizia», ma soprattutto «a un’obbedienza incondizionata nei confronti degli adulti».
Heinrich, il caro «testa di mulo», nel 1939 emana un Ordine sulla procreazione dei figli: le SS devono contrarre un secondo matrimonio, detto «matrimonio di pace», per mettere al mondo il maggior numero possibile di figli razzialmente puri. Himmler si prende in parola e, durante la guerra, ne mette al mondo un paio con la segretaria, Hedwig Potthast, di dodici anni più giovane di lui. Marga, anche se ci resta male, non sembra farne un dramma – la razza Über Alles.
Himmler è anche, come si diceva, un fanatico occultista, al centro d’infinite fanfaluche «mysteriose» à la Dan Brown. Nel 1936 fonda l’Ahnenerbe Forschungs und Lehrgermeinschaft, un’associazione di SS votati alla ricerca dell’eredità ariana ancestrale in giro per il mondo, nella Francia meridionale degli albigesi, nel Tibet mistico e remoto. Di queste idiozie, con Marga, non parla mai, almeno non per lettera. Chiude, però, il suo ultimo messaggio a casa con una formula augurale da pagano della domenica: «L’Antico ci proteggerà». Poi tenta la fuga attraverso le linee nemiche con un’identità falsa. Scoperto, spezza la capsula di cianuro che gli è stata inserita in una fessura tra i denti e finalmente, invece di mandarci ebrei e altri «sottouomini» a milioni, va incontro all’Antico di persona.