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 2020  settembre 23 Mercoledì calendario

Assad nasconde i contagi in Siria

Il coronavirus in Siria continua a uccidere. Con un sistema sanitario in ginocchio da nove anni di bombardamenti e distruzione, non è facile affrontare la pandemia che si accanisce con forza sulla popolazione. Anche la comunità francescana di Aleppo, secondo quanto dichiarato al giornale Crux da padre Ibrahim Alsabagh, parroco della Chiesa latina, ha subito gravi perdite. Ben quattro dei cinque frati che operano in città sono stati colpiti da Covid- 19, due dei quali sono poi deceduti. Nella sua lettera, il religioso ha evidenziato la precarietà delle strutture sanitarie siriane, la mancanza di presidi, di medici e infermieri e di personale adeguatamente formato, ma anche l’assenza di norme aiutino ad orientare i comportamenti delle persone. Il governo di Damasco non ha imposto una quarantena per cercare di rallentare la diffusione del virus. Padre Ibrahim ha raccontato che, all’interno della parrocchia, ha dovuto cercare lui stesso di informare i fedeli sull’importanza del distanziamento sociale per evitare una catastrofe. Secondo i dati della Johns Hopkins University, i contagi superano quota 3.800, mentre le vittime sarebbero 175.
Il condizionale è d’obbligo per la difficoltà di trovare dati certi. Un’inchiesta di Syria Context parla di un range di casi tra 60 e 100mila. L’indagine si basa su una serie di interviste a medici e necrologi. Oltre che sulle immagini satellitari del cimitero di Najha, alle porte di Damasco, area particolarmente colpita. Tali scatti, estrapolati utilizzando un modello creato dell’Imperial College di Londra per mappare la trasmissione del coronavirus, mostrerebbero il notevole e rapido ampliamento dell’area cimiteriale. Le Nazioni Unite hanno affermato di non poter confermare o verificare questi dati. Nelle scorse settimane, Ramesh Rajasingham, segretario generale aggiunto per gli affari umanitari delle Nazioni Unite, tuttavia, aveva espresso al Consiglio di sicurezza le sue perplessità in merito alle cifre ufficiali fornite dal governo siriano. Molti ospedali sono stati chiusi a seguito del diffondersi dell’epidemia anche tra il personale medico, come accaduto nei pressi del campo di al-Hol, dove sono reclusi circa 65mila tra donne e bambini famigliari di miliziani del Daesh. Preoccupante anche la situazione nell’area di Idlib, sotto il controllo delle opposizioni, dove, secondo l’Idlib Heath Directorate i casi positivi nella zona sarebbero 187. Akjemal Magtymova, rappresentante della Siria all’Oms ha affermato che mancano letti di terapia intensiva e ventilatori. La cifra di tamponi, inoltre è molto bassa: a Damasco vengono fatti solo tra i tre e i quattrocento test al giorno. Secondo l’inchiesta di Syria in Context, il costo per ogni esame è di cento dollari, una somma proibitiva per la maggior parte dei siriani. Il prezzo da pagare per il ricovero di una notte in ospedale oscilla tra 200 e 300mila lire siriane, un ammontare fuori dalla portata della maggior parte della popolazione, che percepisce uno stipendio medio statale di 50mila lire. Magtymova ha affermato che l’Oms ha fornito alla Siria 4,4 milioni di dispositivi di protezione individuale.
Il governo siriano attribuisce la colpa della situazione medica all’embargo imposto dagli Stati Uniti, ma il blocco non riguarda le forniture e gli aiuti medici e le ragioni sono sa cercare altrove. Secondo l’ultimo report pubblicato dal Syrian Network for Human Rights Snhr, dal 2011 a oggi in Siria sarebbero stati uccisi 857 sanitari, mentre quelli tratti in arresto sono 3.353. Ben 862 strutture medico-sanitarie sono state distrutte dai bombardamenti. Una mancanza di infrastrutture e personale che aggrava notevolmente la già drammatica situazione.