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 2020  settembre 23 Mercoledì calendario

Il mistero degli elefanti avvelenati in Botswana

È stato un batterio, non i bracconieri. È stata l’acqua delle pozze in cui hanno sguazzato, come soltanto gli elefanti sanno fare. E sanno bere: il fabbisogno dei terrestri più grandi del mondo può arrivare a 200 litri di liquidi al giorno. Si spiega così, forse, il fatto che soltanto loro siano morti avvelenati. E non gli altri animali all’abbeverata nelle stesse pozze. Non le iene e gli avvoltoi che si sono nutriti delle loro carcasse. Questione di quantità. Il mistero dei 330 elefanti morti quest’anno tra maggio e luglio in una zona del magico delta dell’Okavango, secondo il governo del Botswana, è stato risolto: non sono stati gli uomini, come sospettavano gli ambientalisti, ma le malefiche tossine prodotte da un cianobatterio che si sviluppa nelle cosiddette alghe azzurro-verdi. Organismi presenti anche altrove, e che non sempre producono veleni. Se gli uomini questa volta non c’entrano direttamente (ma ci sono animalisti che nutrono ancora qualche dubbio), una delle cause di questa proliferazione tossica ha comunque a che fare con noi. Si annida nelle pieghe del riscaldamento globale (che in Africa meridionale viaggia al doppio della velocità media della Terra). Più calda è l’acqua, meglio è per i piccoli killer. È proprio di ieri la notizia che i ghiacci del Polo Nord si sono ridotti questa estate a un ritmo che in passato si era registrato soltanto una volta. Orsi bianchi ed elefanti: ambienti opposti, minacce simili.
Caso risolto (si fa per dire)? Ne è sicuro Cyril Taolo, vicedirettore dei Parchi Nazionali del Botwana, il Paese che vanta il maggior numero di elefanti al mondo: sono circa 130 mila, su un totale che per l’intero continente si aggira intorno ai 350 mila esemplari. Un paradiso minacciato: l’anno scorso il governo di Gaborone ha tolto il divieto di caccia in vigore dal 2014. In Africa si calcola che dai 10 ai 20 mila giganti della savana vengano uccisi ogni anno per l’avorio delle loro zanne. Anche se il bracconaggio si sarebbe lievemente ridotto di recente (soprattutto per le frenate dell’economia cinese, grande consumatrice di avorio), gli elefanti restano una specie «vulnerabile» nella Lista Rossa stilata dagli organismi internazionali che monitorano gli animali a rischio di estinzione.
Ci mancava il cianobatterio, in questo tempo in cui i microrganismi (virus compresi) si prendono la rivincita sui grandi. «I nostri test indicano come causa di morte le neurotossine del cianobatterio – ha detto in una conferenza stampa il capo veterinario del Botswana, Mmadi Reuben —. Sono batteri che si trovano nell’acqua». Il 70% degli elefanti morti si trovava nei pressi di pozze. «Ma rimangono molte questioni aperte – ha detto Reuben —. Perché soltanto gli elefanti sono stati colpiti, e perché soltanto in quell’area?». I campioni dell’acqua e delle carcasse sono stati analizzati in laboratori specializzati all’estero, dal Sudafrica agli Stati Uniti. «Spero che il governo dica la verità – fa sapere al Guardian Niall McCann, direttore di National Park Rescue —. Ma la presenza delle tossine nei campioni di acqua non basta: in mancanza di test approfonditi sui corpi degli elefanti morti si rimane nel campo delle ipotesi». La biologa Keith Lindsay ha detto alla Cnn che le prove presentate dal governo del Botswana non sono esaustive (in effetti i risultati specifici dei test non sono stati resi noti). «Sappiamo che l’unica cosa che gli elefanti fanno, e che altre specie non fanno, è andare a cercare cibo nei campi coltivati dagli umani».
Secondo Lindsay la morte dei 330 giganti dell’Okavango si potrebbe spiegare anche così: sarebbero stati gli umani ad avvelenare l’acqua dove andavano ad abbeverarsi gli elefanti «invasori». Non una storia di batteri contro elefanti, insomma, ma una guerra tra umani e pachidermi per il controllo del territorio. Che forse è una morte un po’ peggiore.