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 2020  settembre 18 Venerdì calendario

Da "La tigre e il drone. Il continente indiano tra divinità e robot, rivoluzioni e crisi climatiche" di Carlo Pizzati (Marsilio)

Dal 2006 a oggi in India la popolazione di tigri selvatiche è raddoppiata fino ad arrivare a quasi tremila esemplari, grazie a una politica di monitoraggio, leggi severe e nuove tecnologie. Ma ogni anno almeno una dozzina di tigri assaggiano la carne umana perché sono aumentati i contatti con l’esterno. La causa è la crescita demografica di tribù che, schiacciate tra inurbamento e foreste, si addentrano nella giungla, disboscano, coltivano e si trovano nel territorio delle tigri che, affamate, vedono l’umano come cibo. La caccia alla tigre mangiatrice di umani più famosa dell’ultimo decennio si è svolta nello Stato del Maharashtra. È un classico Kipling in salsa tecnologica con ambientalisti contro cacciatori cattivi, vittime divorate a sorpresa, antichi e nuovi metodi per scovare l’animale e... una goccia di profumo.

L’erba è alta perché i monsoni sono appena finiti. È la stagione peggiore per catturare una tigre. E questa è furbissima. La chiamano "Tigre uno", T-1, ma nei villaggi dove si aggira da due anni facendo bocconi di donne, anziani, pastori e passanti la chiamano Avni, "Terra". Ed è per una questione di scarsità di terra che nel 2014 Avni è arrivata tra i villaggi di Loni e Sarati, nella provincia di Yavatmal, famosa per l’alto tasso di suicidi tra i poveri coltivatori di cotone delle tribù dei Gond. Nel 2016, la tigre ha assaggiato carne umana per la prima volta. Nel 2018, le sue vittime erano già 14.

Per i Gond la morte arriva per magia, causata da un demone chiamato Avni. I contadini hanno paura di andare a raccogliere il cotone. Il danno economico è grave. La priorità è colpire Avni con un tranquillante. Un tribunale concede però anche una "licenza di uccidere". Scatta dunque l’operazione "Cattura o uccidi". Duecento forestali, guardie e scout in tute mimetiche organizzano turni di 24 ore. Una mattina, il campo è in fibrillazione. Nella foresta ci sono tracce fresche e appare l’immagine sfuocata di una tigre tra le foto scattate da novanta webcam-trappola. La caccia significa pazienza. Cadaveri di cavalli e capre come esche appese agli alberi. Maialini vivi in gabbie camuffate. Avni non ci casca.

Arriva una squadra di cecchini da Hyderabad guidata da un cacciatore sessantenne, di famiglia aristocratica, star molto discussa: il nababbo Shafath Ali Khan. Non tutti sono felici. È uno che al "cattura e uccidi" preferisce l’"uccidi e cattura". Grilletto facile, mascella volitiva da maschio alfa e un ego più grande dell’elefante sul quale siede in attesa, con il suo enorme fucile. È sensibile alla pressione degli animalisti. Sa cosa dire ai giornalisti: "Abbiamo scoperto che T-1 ha due cuccioli. Dobbiamo prima tranquillizzarla e poi catturare i tigrotti". "Più facile a dirsi che a farsi" interviene suo figlio Asaghar, che vuole dimostrare di essere all’altezza del padre. Ma la tigre non resta ferma per più di otto ore. È aggressiva, imprevedibile. Si muove solo di notte per gli spostamenti lunghi. E nel frattempo i cuccioli crescono.

I cecchini si appostano in cima a cinque elefanti, sugli alberi, nelle jeep. Un parapendio a motore perlustra la zona, ma è inutile a causa della vegetazione. Arriva anche un drone a lettura termica. Alta tecnologia per eliminare la più antica minaccia dell’umanità. Una sfida che racchiude il nostro contemporaneo: la tecnologia più recente a contenere l’imprevedibilità della natura. La punta di diamante della tecnologia umana che contribuisce alla colonizzazione delle riserve naturali. La tigre e il drone, vero dragone creato dall’uomo che rischia di cambiare i connotati dell’umanità. Ma non è un drone armato, anche se in futuro lo sarà, per scovare con rilevatore termico e sparare. Come in un videogame.

Il drone dà indicazioni ai cacciatori e il cerchio si restringe. Avni appare a tre chilometri dal campo. La braccano in un angolo. Lei carica e i cecchini scappano. "Ha imparato molto dai tentativi di evasione" dice il nababbo. "L’abbiamo fatta diventare molto brillante".

A uno dei cacciatori viene un’idea bizzarra, che però sembra funzionare. Si sa che i felini, tigri comprese, vanno matti per un effluvio emesso dallo zibetto, feromone alla base di un profumo da uomo famoso negli anni 90, Obsession for Men. Ossessione per gli uomini. L’essenza viene miscelata a un po’ di urina di tigre e sparsa nella giungla, non lontano dalla zona dell’ultimo avvistamento. Una tigre chiamata Terra che mangia gli umani, irretita a causa della sua ossessione per gli uomini con un profumo che si chiama "Ossessione per gli uomini"... Ma, niente.

Il nababbo allora si spazientisce e vola nel Bihar per un incontro di lavoro, lasciando il figlio Asaghar a presidiare il campo con dei tiratori scelti. Mentre il supercacciatore è lontano, ai primi di novembre del 2018 Avni viene avvistata. Quasi mezzanotte, buio pesto. Il giovane Asaghar schizza via a bordo di una jeep scoperta, stipata di tiratori scelti. Arrivano alla zona dell’avvistamento ed eccola, Avni, che li vede, si acquatta e li carica. Un tiratore spara un dardo tranquillizzante. Va a segno. Ma il sonnifero impiega un quarto d’ora ad avere effetto. Avni, appena colpita, invece di accasciarsi, ruggisce di rabbia, si volta di colpo verso la jeep e carica. Asaghar spara un colpo solo, allo stomaco. La tigre crolla, morta stecchita.

Il nababbo arriva di corsa la mattina dopo per prendersi i meriti del figlio. Nei dodici villaggi della foresta di Ralegaon i contadini felici organizzano feste. La morte del demone significa che si può andare finalmente a raccogliere il cotone. Ma meglio stare attenti, perché i due cuccioli sono ancora liberi. Pochi giorni dopo, un contadino avvista un tigrotto mentre sale lungo la collina dove è stata uccisa sua madre. E la caccia continua.