Corriere della Sera, 14 settembre 2020
QQAN10 Su "Atlante del mondo che cambia. Le mappe che spiegano le sfide del nostro tempo" di Maurizio Molinari (Rizzoli)
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Maurizio Molinari dedica il suo ultimo libro a Luigi Sagi, ebreo italiano di origine ungherese, finito prigioniero alla Risiera di San Sabba e sopravvissuto ad Auschwitz. «Viaggiatore poliglotta che amava le mappe e attraversò le ferite dell’Europa». Sagi morì nel 1998. In Atlante del mondo che cambia. Le mappe che spiegano le sfide del nostro tempo (Rizzoli), in libreria da oggi, il direttore di «Repubblica» affronta, con l’abituale chiarezza espositiva, le otto grandi emergenze del pianeta — dai conflitti armati alle disuguaglianze, dal riscaldamento climatico al razzismo — con l’ausilio costante dell’infografica. È un interessante e innovativo esperimento di data journalism. I grafici contano più delle parole. Ma ciò non toglie nulla alla profondità del racconto, all’indagine sulla complessità dei fenomeni e alla loro articolazione tra cronaca e storia. Aveva ragione il timido e fragile Sagi (c’è una intervista che gli fece il Centro di documentazione ebraica diretto da Liliana Picciotto): le mappe denudano gli avvenimenti, rendono i contrasti più chiari, ma soprattutto mettono in luce le ferite. Anche quelle che non vogliamo vedere. Sono un antidoto ai pregiudizi. «Le mappe sono le compagne d’avventura di ogni pioniere — scrive Molinari — hanno consentito all’umanità, nelle epoche più diverse, di vedere oltre l’orizzonte». E nell’era dei Big Data sono una sintesi necessaria per non naufragare nell’abbondanza dei segnali.
Nell’analisi di Molinari vi sono quattro tipi di conflitti: quelli armati tra Stati, milizie e clan tribali, il terrorismo, le guerre cibernetiche e le contrapposizioni sull’uso delle risorse naturali. La rivoluzione digitale è stata un detonatore di cui non abbiamo ancora compreso la portata. Ciò ha fatto sì, per esempio, che l’odio jihadista e quello neonazista o suprematista si alimentassero a vicenda e utilizzassero le stesse modalità operative ed espressive. Sono il veleno della violenza che tracima nel linguaggio pubblico, lo assedia e lo corrompe, trasforma gli avversari in nemici. Richiede contromisure che non abbiamo ancora perfettamente individuato. È una delle sfide più impegnative dell’Occidente.
Un grafico chiarisce che la maggioranza degli attacchi hacker, diretti a inquinare il dibattito delle democrazie occidentali, a spiare segreti e brevetti, proviene da tre Paesi: Russia, Cina e Iran. La geopolitica del gas — che spiega per esempio l’attivismo del presidente turco Erdogan nel Mediterraneo — è la chiave degli equilibri futuri nel mercato dell’energia. Di gas naturale ne abbiamo anche noi nell’Adriatico ma facciamo finta di non vederlo, restando così dipendenti ed esposti a fornitori infidi, come Mosca. Lo Stato di diritto è sotto attacco. E sono quattro i Paesi da indagare per capire l’evoluzione del sovranismo: Austria, Ungheria, Polonia e Italia. Anche in questo caso non abbiamo l’esatta percezione di essere osservati speciali, bacino di coltura di un illiberalismo che cancella la memoria e fa leva, come scrive l’autore, sull’«identità tribale delle singole comunità».
Lo sguardo alle mappe delle migrazioni ci fa capire molto sulle cause (la desertificazione del pianeta più delle guerre) e sull’importanza del Niger (il maggior centro di smistamento). Ci svela la composizione dei flussi verso i Paesi ricchi. Dal Nord Africa emigrano di più gli uomini; dai Paesi asiatici meno sviluppati di più le donne; dal Centro America un maggior numero di nuclei familiari. Le correnti migratorie sono molto condizionate dalle ipotetiche prospettive di lavoro. L’Asia è il continente dal quale si fugge di più. «Nel biennio 2010-11 circa 25 milioni di asiatici hanno raggiunto nazioni dell’Ocse e il 44,7 per cento di loro era dotato di una laurea». Una percentuale di laureati inferiore alla media dei Paesi Ocse e circa il doppio della nostra. «La maggioranza dei migranti in fuga proviene da o attraversa tre Stati: Turchia, Pakistan e Iran».
Si può guardare alle disuguaglianze in altro modo. Per esempio sul versante della disponibilità di farmaci di prima necessità, sempre più costosi, anche e soprattutto tenendo conto dell’invecchiamento della popolazione. L’intelligenza artificiale — e qui Molinari cita lo studio di John Allen della Brookings Institution di Washington — costituirà uno dei «maggiori vettori nella lotta alle disuguaglianze». Ma solo se sarà garantito l’accesso alla connettività veloce (che Romano Prodi propone come un diritto universale) e, nel contempo, saranno sviluppati programmi di apprendimento personali.
Il saggio di Molinari mostra poi quanto sia importante il ruolo dell’Europa nella lotta al riscaldamento climatico. E non solo per l’ambizioso programma del Green New Deal che si propone l’obiettivo di arrivare alla neutralità nelle emissioni di gas serra entro il 2050, ma anche per la capacità di creare good jobs, lavori buoni, nel risanamento di fiumi, laghi e coste. L’Unione Europea può esercitare un’adeguata pressione su India e Cina che sono «al tempo stesso il problema e la soluzione dei cambiamenti climatici», visto che consumano, per produrre elettricità, il 60,2 per cento del carbone impiegato al mondo.
Un’altra grande emergenza è quella della mancanza di parità di genere. Secondo un rapporto dell’Onu del febbraio di quest’anno, una donna su cinque, tra i 15 e i 49 anni, sostiene di aver subito, negli ultimi dodici mesi, una violenza da un partner; 49 nazioni su 193 non hanno leggi per proteggere le donne dalle violenze domestiche. Secondo la Banca Mondiale, su 187 Paesi esaminati, soltanto sei (Lussemburgo, Belgio, Danimarca, Francia, Lettonia e Svezia) registrano una accettabile parità di trattamento sui posti di lavoro. Gli squilibri sono ancora più ampi tra uomini e donne con figli.
Nel capitolo dedicato alle discriminazioni e alle intolleranze, le mappe ci rivelano che razzismo e omofobia sono «quasi uniformemente diffusi, da Vancouver a Vladivostok, praticamente senza soluzione di continuità». E così l’antisemitismo. Con un numero di aggressioni che ha raggiunto, tra il 2009 e il 2018, quota 41 mila. Sono 31 mila gli atti d’odio contro i cristiani; 20 mila contro i musulmani. La pandemia ha fatto precipitare, sostiene Molinari, il cittadino al centro del sistema di sicurezza nazionale. Senza la sua collaborazione responsabile, il virus non si batte. Ma tutti i grandi temi di sicurezza nazionale, specialmente nella gestione dei dati, dipenderanno sempre di più dal grado di maturità dei cittadini, dalla bontà delle informazioni che riceveranno, dalla loro responsabilità personale. «Lo scontro con il nemico — conclude Molinari — non avviene più nella trincea di un lontano campo di battaglia, bensì dentro le nostre strade, i nostri condomini e le nostre case». E le mappe aggiornate, in un Paese libero, saranno ancora più indispensabili.