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 2020  settembre 22 Martedì calendario

Mense aziendali addio, il futuro è lo smart locker

Dimenticatevi la mensa aziendale come l’avete sempre conosciuta. Negli uffici ci sarà un frigorifero intelligente, dove troveremo quello che abbiamo ordinato via app il giorno prima, confezionato in atmosfera protetta e pronto da riscaldare. Sempre da lì ritireremo anche il piatto pronto da mangiare il giorno dopo, quando saremo a casa in smart working. E perché no, prenderemo anche qualcosa per la cena, o per il pranzo dei figli che domani saranno a casa con noi.
Per i giganti della grande ristorazione collettiva, la rivoluzione è cominciata. Non tanto nelle mense scolastiche, che hanno accusato pesantemente il lockdown ma che adesso sono tornate – chi più chi meno – a pieno regime. Il cambiamento radicale è arrivato nelle grandi aziende, dove lo smart working portato dal Covid sembra proprio destinato a restare, almeno per alcuni giorni della settimana. E siccome da Camst a Elior, nessuno se la sente di fare concorrenza al modello Deliveroo e alle consegne a casa, la sfida è piuttosto lanciata ai piatti pronti del supermercato.
Con grande realismo, i big delle mense si sono fatti i conti in tasca. Lo spiega bene per tutti Francesco Malaguti presidente della Camst, una realtà da 120 milioni di pasti all’anno: «Il 70% delle aziende in cui lavoriamo sono fabbriche, e lì non cambierà molto, gli operai continueranno a lavorare fisicamente nei siti produttivi. Nelle altre però, dove oggi lavora da casa l’80% degli impiegati, ci aspettiamo che lo smart working rimarrà ben oltre l’emergenza Covid e per una media di uno o due giorni alla settimana a testa. Nel lungo periodo, per noi, significa il 20% del fatturato in meno». Ecco perché è necessario inventarsi qualcosa.
La risposta sono i cosiddetti smart locker: frigoriferi evoluti, controllati da app, da cui prelevare i pasti. Quelli da consumare in ufficio e quelli da consumare a casa. Camst da qualche cliente ha già cominciato, per esempio da Philip Morris: «È evidente – dice Malaguti – che per noi è un investimento conveniente solo dove le aziende ci garantiscono una programmazione quanto meno settimanale».
Anche Elior, che soltanto nel nostro Paese serve 106 milioni di pasti all’anno, ha cominciato da tempo a sperimentare gli smart locker: «I primi li abbiamo installati nel 2018 – racconta l’ad Rosario Ambrosino – oggi in Italia ne abbiamo più di 400 e nel giro di tre anni contiamo di quadruplicare questi numeri». Talmente ci crede, Elior, che ha appena lanciato iColti, una linea di 400 ricette prodotte in atmosfera protetta che durano 10 giorni e volendo possono anche essere consumati a casa. Scelte come queste richiedono però una rivoluzione copernicana dell’organizzazione e della produzione: «iColti – ammette Ambrosino – non vengono prodotti in una cucina centralizzata. Nelle singole mense aziendali la cucina potrà rimanere solo se si accettano prezzi più elevati». Insomma, un pasto base costa intorno ai 5 euro: chi vuole il cuoco in azienda dovrà pagare qualcosa di più. E già l’Angem, l’Associazione nazionale delle aziende della ristorazione collettiva, ad agosto aveva denunciato che nel settore sarebbero stati a rischio 20mila posti di lavoro.
«Noi riteniamo che il futuro della ristorazione si muoverà nella direzione della personalizzazione e della complementarietà dei servizi erogati», afferma Valentina Pellegrini, vicepresidente della Pellegrini. «La nostra attenzione sarà rivolta non solo a chi tradizionalmente consumerà il proprio pasto in azienda, ma anche a chi sceglierà luoghi e tempi differenti, fino a soddisfare le esigenze degli smart-worker».
Anche Cirfood, che gestisce oltre 220 ristoranti aziendali in Italia, sta studiando la formula del locker refrigerato. Ma non solo: «Stiamo anche valutando la possibilità, insieme ad alcuni partner, di consegnare il pasto direttamente a casa – racconta il suo direttore commerciale, Alessio Bordone -. La strategia per la mensa del futuro non può essere una sola: accanto a chi sceglie il luchbox, c’è anche una fetta ampia di dipendenti che non vuole rinunciare alla mensa tradizionale, e queste persone vanno rassicurate». E per un business che rallenta – per quest’anno, si parla di un incasso del 34% in meno per il comparto della ristorazione collettiva – ce n’è uno nuovo che si apre: «Il welfare aziendale per noi sarà un’opportunità interessante – dice Bordone – per le imprese significa offrire servizi pagandoli meno perché detassati, per società come la nostra significa ampliare la gamma dell’offerta».