la Repubblica, 22 settembre 2020
La guerra del gas nel mare di Cipro
Qui te lo ripetono tutti: la guerra del gas che si gioca nel mare di Cipro si può fermare solo oltre questa garitta scalcinata dipinta di bianco e di azzurro, oltre questa barriera di fusti di benzina corrosi dal tempo. “Nicosia, ultima capitale divisa”, recita in tre lingue un cartello che è l’unica cosa lucida che si vede nei paraggi. Nella ferita di questa città, la linea di demarcazione che da quasi cinquant’anni separa turco-ciprioti e greco-ciprioti, in tanti vedono la ragione per cui la benedizione della scoperta del gas nel 2011 è divenuta una condanna. L’isola è sempre di più il terreno di confronto tra sfidanti ben più potenti di quelli che siedono da una parte e l’altra del muro.
«Siamo una piccola isola e divisi siamo ancora più vulnerabili», mi dice Kemal Baykalli. Pacifista turco-cipriota di UniteCyprusNow, è una voce conosciuta anche dai greci. Insieme ad Andromachi Sofokleous anima “Nicosia Uncut” un podcast che in greco, turco e inglese fa dialogare le due comunità. «A ottobre al nord eleggeremo il nuovo presidente. Dobbiamo scegliere chi punta al negoziato, a una Federazione. Per sfruttare insieme le risorse. Se non facciamo la pace, non saremo più gli attori principali in scena a Cipro».
Gli stranieri a tenere il palcoscenico adesso sono tanti. Prima tra tutti la Turchia che taglia le onde attorno all’isola con ben tre imbarcazioni da perforazione e ricerca. Il dispiegamento esplorativo serve a Erdogan per ribadire due cose a Nicosia. Uno: non potete concedere alle compagnie straniere – compresa l’italiana Eni – il mandato di estrazione del gas perché dovete farlo d’intesa con la Repubblica turca di Cipro Nord (non riconosciuta dalla comunità internazionale). Due: le zone economiche esclusive (le aree di mare su cui esercitare diritti di sfruttamento) che Cipro rivendica si sovrappongono a quelle che la Turchia considera proprie. Per rendere chiaro il tono ha annunciato esercitazioni militari per questa settimana.
La ragnatela che avvolge i giacimenti ciprioti è fitta. Uno dei fili si chiama EastMed: un futuro gasdotto che dovrebbe portare il gas dal Mediterraneo orientale fino in Grecia attraverso Cipro e Creta per poi arrivare possibilmente in Italia e in altre regioni d’Europa. Un’opera faraonica vista di buon occhio dagli Usa che auspicano un’Europa affrancata dal gas russo. «Guardata con interesse» dall’Italia, il cui attuale governo però non gradisce. Utile infine strategicamente a Israele per approfondire partnership nel Mediterraneo. Ankara, fatta fuori dall’intesa, avrebbe preferito che il gas prendesse la più economica strada di terra che passa sul suo territorio nel viaggio verso l’Unione europea.
La Turchia non è stata accolta neanche nello EastMed Gas Forum, una piattaforma per la supervisione del mercato del gas regionale che comprende praticamente tutti i paesi dell’area, fuorché Ankara e Beirut. «Una politica di isolamento che Ankara considera provocatoria», dice Fiona Mullen della società di consulenza Sapienta Economics.
Per rompere le uova nel paniere al progetto del gasdott o di EastMed i turchi hanno stretto un accordo sui confini marittimi con il governo libico di Fayez al Serraj. Una intesa che ingarbuglia la paternità delle acque in cui dovrebbe passare la “pipeline": l’investimento diventa più rischioso in una situazione di scontro. Che è tutt’altro che virtuale: ad agosto c’è stata una collisione tra una nave turca e una greca. Il segretario di Stato Usa Mike Pompeo ha liberato Nicosia dall’embargo sulle armi. Francesi, italiani, greci e ciprioti hanno fatto manovre congiunte.
«Sì, abbiamo paura della guerra», ammette scuotendo la coda di cavallo la barista di “Swimming birds”, un locale di Palias Elektrikis, a un passo dal confine. I notiziari alla tv mandano in onda lunghi servizi sulle minacce turche e l’argomento anima le pause caffè.
Dall’altra parte della barriera, non è la guerra a far tremare. «I turco- ciprioti sanno di non avere in mano le leve delle decisioni e in questo momento sono molto più preoccupati dal Covid-19», spiega Baykalli. Il virus ha cancellato le folle di turisti che mangiavano souvlaki nella taverna “Check point Charlie” sotto il muro e ha fermato i pendolari del pieno di benzina. Ha bloccato anche le attività delle grandi compagnie accorse per il gas. Ma non i giochi strategici.
Atene soffia sulla tensione a Cipro. Vuole un partner per far passare all’imminente Consiglio europeo le sanzioni contro Ankara per l’atteggiamento bellicoso nel risiko dell’energia. Cipro fa pesare la sua piccola autorità al tavolo comunitario a cui siede dal 2004, minacciando di opporsi alle sanzioni contro Lukashenko per la repressione in Bielorussia, a meno che provvedimenti non verranno presi anche contro Ankara. C’è chi dice che all’altolà non siano estranei gli oligarchi russi che colonizzano i grattacieli miliardari di Limassol, dove in cambio di montagne di denaro ottengono passaporti ciprioti e quindi il lasciapassare per l’Europa.
«La Turchia ha mostrato disponibilità, la Germania favorirà il dialogo», prevede fiducioso da Bruxelles Niyazi Kizilyurek, turco-cipriota eletto all’Europarlamento. Oltremuro Merkel è la speranza del governo, il francese Macron è il “nemico”. Una percezione aggravatasi dopo il mega acquisto di armi “made in France” annunciata da Atene.
Nel bianco abbagliante del cortile della Frederick University di Nicosia un gruppo di studenti dibatte della “guerra del gas”. «Fanno tutto questo casino per qualcosa che è già passato – taglia corto Kyriakos, 21 anni – pensino piuttosto alle energie pulite. Qui di sole ne abbiamo da vendere e non ce lo ruba nessuno».