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 2020  settembre 21 Lunedì calendario

Breccia di Porta Pia, il derby radical-massonico

La Breccia di Porta Pia ha finalmente celebrato domenica, Venti Settembre, il suo centocinquantesimo compleanno. Per l’occasione, da settimane sta scorrendo un fiume d’inchiostro lungo e largo quanto il Tevere che separa la sponda dell’Italia oggi repubblicana da quella del Vaticano.
Epperò nella messe di articoli, interviste e analisi sulla fine del potere temporale del papa non si è mai andati oltre la meticolosa cronaca di quei giorni, con l’ingresso dei bersaglieri a Roma il 20 settembre 1870, oppure uno scontato bilancio “gestionista” sulla Chiesa amputata del suo governo politico con lo Stato pontificio. In realtà c’è una questione che avrebbe meritato spazio e che talvolta ha tormentato gli osservatori laici più lucidi: l’assenza di una religione civile nel nostro Paese, causa dei peggiori difetti del carattere italiano, dal trasformismo all’individualismo. Simbolicamente, questa assenza, è rappresentata finanche dall’oblio sulle ricorrenze risorgimentali e unitarie, tra cui appunto la festa del Venti Settembre.
Non a caso, per lustri, l’anniversario della Breccia di Porta Pia è stato ricordato solo dagli eredi anticlericali di quella fase storica: i massoni del Grande Oriente d’Italia e i radicali pannelliani. I primi potevano vantare l’affiliazione dell’allora presidente del Consiglio Francesco Crispi, un big diremmo oggi della Sinistra storica identificata alle elezioni con la dicitura “Ministeriali”. I secondi invece costituivano parte dell’opposizione, completata poi dalla destra liberale e dalla sinistra rivoluzionaria e socialista. Ed è proprio il dibattito parlamentare sull’istituzione della festa del Venti Settembre a descrivere il derby radical-massonico che si disputò sul Venti Settembre. Era il 1895 e a proporre la ricorrenza civile del Venti Settembre fu un deputato pugliese di Trani, Nicola Vischi.
Nell’aula di Montecitorio, nella seduta pomeridiana dell’11 luglio, la legge passò a maggioranza e il fronte risorgimentale più avanzato si divise. Ecco Napoleone Colajanni, tra i fondatori quell’anno del Partito repubblicano italiano, il Pri: “Questa politica a partita doppia a me non va. Comprendo un Governo nettamente liberale, e che segua sempre la stessa via, ma non posso comprendere un Governo che oggi esalta Giordano Bruno, domani a Brescia, a Milano, a Faenza mette a disposizione guardie, delegati, prefetti, autorità d’ogni genere per far trionfare: chi? I clericali”. Per bocca di Andrea Costa i socialisti votarono a favore, non senza aver preso atto delle divisioni della classe dirigente che aveva fatto l’Unità d’Italia: “La borghesia non ha più ideali”.
Fu costretto lo stesso Crispi a intervenire per chiedere l’approvazione della legge, “ove non sia possibile votarla all’unanimità, per lo meno a grande maggioranza”. Da destra gli gridarono: “È una compiacenza alla massoneria”. Rispose Crispi, duro: “Io non vado né alle Loggie, né alla Chiesa; e la manifestazione di oggi alla Camera, il suo voto, sarà un voto nazionale, non un voto di setta”. La festa venne soppressa dal fascismo nel 1930, un anno dopo i Patti Lateranensi. Per Mussolini era diventata “una parata massonica, inutile e malinconica”.