La Lettura, 19 settembre 2020
Nel carcere minorile di Nisida
«Qua dentro la barba è vietata», dice Antonio (nome di fantasia), 18 anni. «Io invece la vorrei». Siamo nel carcere minorile di Nisida, e la barba è davvero vietata. Come altri segni distintivi che le guardie penitenziarie hanno imparato a riconoscere:
riga centrale ai capelli,
maglietta nera,
occhiali da vista dalla montatura nera,
tatuaggio ES17.
Segnali di appartenenza alla banda di Emanuele Sibillo (che a un certo punto si fece crescere la barba incolta come i jihadisti dell’Isis, e da lì gli altri a imitarlo). Sibillo, capo della paranza dei bambini di Forcella, ucciso a 19 anni, che dopo la morte assurge alla figura di martire, guida spirituale che dall’alto accompagna i giovani camorristi marchiati dalla sigla ES17. ES17, le iniziali del capo più il numero 17, perché la S di Sibillo è la diciassettesima lettera dell’alfabeto, ma anche «la sfida che brucia» (così la definisce Mariarka, vedova di Sibillo, in ES17 – Dio non manderà nessuno a salvarci, documentario di Diana Ligorio e Conchita Sannino ispirato a La paranza dei bambini di Roberto Saviano). Benvenuti nel carcere minorile di Nisida, simile al carcere minorile dove si svolge Mare fuori, la serie che sta per andare in onda su Rai2 e che i ragazzi qui hanno visto in anteprima.
I bambini, come li ha battezzati il capo. Bambini per età, poiché molti hanno cominciato a delinquere presto: dieci, undici anni. E bambini perché non hanno avuto alcun passaggio, nessuno stacco tra infanzia e adolescenza. La vita fin qui è stata un unico tempo indistinto tra giocattoli, moto, pistole ad acqua, pistole vere.
I bambini di Nisida possono avere fino a 25 anni. Assassini, patricidi, matricidi, rapinatori, spacciatori, a noi che entriamo non è dato sapere.
«Da piccolo giocavo alla PlayStation, da grande pure», dice Pino (nome di fantasia), 18 anni, a cui in carcere manca la PlayStation, l’oggetto che più gli fa pensare a casa. A 6 anni, con il fratello di 7, passavano il giorno a giocare. Dodici-tredici ore di fila, mentre i genitori «faticavano» fuori. Viceversa Armando, 19 anni, dice che lui all’infanzia non ripensa, o meglio: da che ricorda, dai 6-7 anni, ha sempre avuto ragazze. L’ultima lasciata prima di entrare: chiuso il cancello, chiusa la storia. Non vuole pensieri, dice. E comunque era un rapporto che non andava, litigavano parecchio. Certo, adesso lei gli scrive, e lui risponde, ma per educazione. Qui in carcere si sono visti dalla finestra, lato mare. Erano riusciti a darsi appuntamento, non può dire come.
Sono rimasti a guardarsi per trenta-quaranta minuti. A quella distanza non puoi parlare, solo guardarti. Prima cosa che farà appena esce? Andare da lei.
I bambini di Nisida non sanno contare fino a cento. Non conoscono giorno, mese, anno in cui sono, né l’ordine dei mesi.
«Che viene dopo maggio?», chiede Christian.
Così Raffaele, che dice di avere 16 anni, per poi correggersi: «Mi dicono che ne ho fatti 17». E Armando che a domanda – quando abbia visto la ex dalla finestra – risponde «non lo so». Forse ieri (in realtà due settimane fa).
«Abitano a Secondigliano – spiega un educatore – e non sanno che è Napoli».
Per loro Napoli è un’altra città.
I bambini di Nisida non sanno dov’è Roma, non distinguono il dolce dal salato, né l’inverno dall’estate. Analfabeti, imparano a leggere e scrivere in carcere.
Eppure il giorno in cui è venuta una ministra in visita, Maria ha detto subito: «Quindicimila euro», riferito al Rolex che aveva al polso. Sanno individuare un Rolex falso da un Rolex vero, così come altri oggetti, conoscono le marche.
Salvatore, 17 anni, racconta della volta che un negoziante voleva rifilargli un paio di Hogan false. Lui se n’è accorto, e gli si è rivoltato contro.
«Dentro non ti fanno tenere orecchini, catenine», contestano di Mare fuori, la serie tv che «la Lettura» ha appena visto con i ragazzi. «Giacca e cravatta, quando mai», rispetto alla scena di un colloquio. Non si ritrovano nei dettagli, negli oggetti. «Non c’è abbastanza musica napoletana», protesta qualcuno. Quando poi chiedi se rabbia, dolore, nostalgia dei personaggi della serie siano le loro, non sanno rispondere. Incapaci a dare un nome ai sentimenti.
Eccoli nei percorsi sensoriali: scalzi, occhi chiusi, a indovinare su cosa mettono i piedi: se legno, sabbia, pietra... Distinguere il liscio dal ruvido – nessuno glielo ha mai insegnato.
Qui ricominciano dall’inizio, come i bambini.
I bambini di Nisida, assassini, patricidi, matricidi, rapinatori, spacciatori. Su Facebook Sibillo scriveva alla madre, immaginando di non arrivare a vent’anni: «Farai la torta per il mio compleanno e mi vedrai davanti a te col naso sporco di cioccolato». E lei: «Mamma e papà sono fieri e orgogliosi di avere messo al mondo un bimbo speciale come te».
Bambini che con i soldi del rimborso spese comprano merendine, Coca-Cola, shampoo profumato, trucchi e smalti (le femmine, anche qualche maschio però). Bambini che si scrivono lettere da una palazzina all’altra (succede al minorile di Casal del Marmo, Roma). Che al laboratorio di falegnameria costruiscono mini villaggi girevoli per i nipoti piccoli (vedi Amedeo).
Bambini che sognano. Allora Rosaria, 18 anni, al laboratorio di scrittura creativa scrive di una ragazza dal carattere difficile che nessuno capisce, in particolare la famiglia. Per fortuna un giorno incontra un ragazzo con il carattere come il suo, s’innamora, e lui la porta a fare rapine.
I bambini di Nisida.
E se a Nisida i detenuti provengono da famiglie criminali, loro stessi appartengono a bande (Napoli è l’unica città italiana con due carceri minorili per evitare di mettere insieme bande rivali); negli altri minorili la situazione è differente. Più stranieri, più minori non accompagnati. Eppure qualcosa torna, qualcosa accomuna i ragazzi dei minorili d’Italia: l’incapacità di pensarsi nel tempo. Non c’è passato, né futuro. «È stata male un’oca della pet therapy», dice Pino. Quando? Oggi – ed era una settimana fa. «Ieri ho fatto la videochiamata con mamma», dice Mustafa, 17 anni, minorile di Casal del Marmo – ed erano tre giorni fa. E ancora:
Cosa vuoi fare dopo?
«Lavorare».
Quale lavoro?
«Non lo so».
Non lo so è la risposta a qual è il tuo sogno, un viaggio che vorresti fare. È in carcere che imparano a dare concretezza. Così Mustafa, grazie al laboratorio di parrucchiere, oggi sogna di diventare parrucchiere per donne. La prima cosa che vuole fare da libero: i capelli alla mamma che a 32 anni, ormai, li ha corti e rovinati. La tingerebbe di biondo, e le metterebbe delle extention per ridarle la chioma di quando era giovane.
Se il sogno di Mustafa è fare il parrucchiere, quello di Chaban, 20 anni, è cantare. Ha scoperto la passione in carcere, dove ha composto canzoni tra cui Vorrei cambiare. Ma soprattutto ’Sto cazzo di carcere, il pezzo che lo rappresenta davvero. Inizio: «Spesso a dire il vero / non c’è amore da queste parti / penso ai familiari che non vengono a trovarti / c’è chi mi fa ridere / se il tempo è brutto / scherzo con gli altri e dentro sono distrutto».
Il tempo può essere solo bello o brutto. Un’unica giornata di sole o di pioggia per i ragazzi del minorile, un’unica giornata che per Giada è il compleanno dei 18 anni con educatrici e compagne che l’hanno festeggiata: torta, striscione tanti auguri, musica, regali. Tra i regali la crema Dior per il corpo, un rossetto, e il ritratto di Angi, il suo cane, che insieme alla mamma è l’essere che le manca di più.
Mentre il pensiero di Giada è il cane, quello di Daniel, 23 anni, sono i figli. Ha due bambini – uno di cinque anni e una di due. Loro credono che sia al lavoro, e nelle videochiamate (istituite durante il lockdown) il grande chiede se abbia finito. Quello è furbo però – dice Daniel. Ha già vissuto l’altro arresto, difatti la mattina che sono arrivati i poliziotti ha detto: «Ti arrestano, papà». E lui: «Mi portano al lavoro». Suo figlio ha cinque anni, ma di testa quindici. Tu vedessi come guida il quad, come va veloce nelle strade delle case popolari di Monte Silvano. Appena esce, Daniel vorrebbe portare moglie e figli in crociera, che sulle navi c’è la sala giochi tipo casinò. E lui s’immagina lì, con i suoi bambini, a giocare tutto il giorno.
Anche Luca, 23 anni, è padre. Di recente è successo che in videochiamata abbia visto la grande, tre anni, molto cresciuta, e gli orecchini – quelli che aveva da neonata, le hanno fatto il buco alla nascita – troppo piccoli rispetto al viso. Perciò ha mandato i soldi per comprarne di nuovi, questione di orgoglio. Quando ha rivisto la bambina con gli orecchini grandi, si è sentito a posto con la coscienza. Ci tiene che la figlia non sfiguri. Da settimane sta organizzando il prossimo permesso. Vuole portare i bambini alla giostra di Frosinone, sui cavalli che girano, che è anche uno dei suo luoghi preferiti. Sai le volte che ci ha portato qualche ragazza in passato, o che ci è andato con gli amici. Certe notti - dopo aver commesso cose non proprio regolari - andavano alla giostra chiusa, si mettevano dentro le tazze, sui cavalli, sugli unicorni, chiudevano gli occhi. Prendevano respiro.