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 2020  settembre 18 Venerdì calendario

Intervista a Orietta Berti - su "Tra bandiere rosse e acquasantiere" (Rizzoli)

Orietta (Galim)Berti, emiliana da Cavriago, 16 milioni di copie vendute, amata del pubblico, snobbata dalla critica. Una vita da romanzo che infatti diventa un’autobiografia: Tra bandiere rosse e acquasantiere (Rizzoli, dal 22 settembre)


Nel suo paese c’è un busto di Lenin, la mamma era comunista, eppure lei ha una collezione di oltre 100 acquasantiere. Come è successo?
«Con mio papà andavo a tutte le processioni perché lui era molto religioso, era devoto di San Giovanni».


Sembra la storia di Peppone e Don Camillo, rossi e bianchi sempre in conflitto. Il papà vince però, riesce anche a trasmetterle l’amore per la musica...
«Era un tenore mancato. Era stato abbandonato dal padre che si era rifatto una famiglia a Bordeaux (anche lì tre figli con gli stessi nomi di quelli abbandonati, roba da film ndr) e allora si è dovuto rimboccare le maniche e mettersi a lavorare. E il suo desiderio l’ha riversato su di me, voleva diventassi soprano, ma non ci sono riuscita perché quando è morto anche io come lui dovevo aiutare in casa. E mi sono messa a fare la sarta».


Passi per le acquasantiere, ma la mamma cosa avrebbe detto del suo coming out per Di Maio?
Ride: «Mi sono vista attribuire ogni colore politico. Dicevano che ero comunista perché cantavo alle Feste dell’Unità, poi sono stata ritenuta democristiana per le canzoni disimpegnate a Sanremo, poi berlusconiana perché ero nel cast di Buona Domenica. Ma in realtà io sono sempre stata attenta a non schierarmi con nessuno».


A chi deve dire grazie?
«La mia più grande fortuna è stata conoscere un discografico come Giorgio Calabrese: aveva anche De André e Remigi, e si prese cura di me. Da ragazza di provincia senza mezzi finanziari e di comunicazione (per fare le telefonate dovevo andare al bar del paese) mi ha fatto diventare una cantante popolare. Il mio successo lo devo a lui. E al pubblico».


Eppure la prof di canto disse che era stonata...
«Ero come mio papà, talmente timida che non mi usciva la voce».


Come ha vinto la timidezza?
«Non si vince mai la timidezza. Rimane la sicurezza, che arriva quando dopo tante prove non hai più paura. Ma un po’ di emozione ci vuole sempre: se non hai emozione tu non riesci a trasmettere le vibrazioni giuste al pubblico».


Ha iniziato cantando le canzoni tradotte della cantautrice belga Suor sorriso.
«Avevo paura mi etichettassero come una suora. Ma quella era la condizione per poter andare al Disco per l’estate. Tutti gli ordini di suore e preti mi conoscevano, ai miei concerti vengono sempre tante suore, almeno due canzoni devo cantarle per loro».


«Playmen» e «Playboy» le chiesero di posare nuda.
«Mi offrirono cifre da capogiro: ma chi l’avrebbe sentite poi mia madre e mia suocera».


Il primo Sanremo?
«In coppia con Ornella Vanoni, che non voleva farsi fotografare con me perché voleva un collega maschio. Alcuni anni dopo l’ho rivista e mi ha detto che in quel periodo era pazza. “Tu poi eri troppo colorata”, mi diceva. Le dico solo che io avevo un abito nero... Adesso siamo amiche, ci sentiamo tutte le settimane».


Tenco nel biglietto di addio disse che si suicidava come «atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale».
«È un episodio che ha segnato me personalmente e la mia carriera. C’è stato un periodo in cui nell’ambiente mi schivavano tutti, i giornalisti non volevano intervistarmi e pensare che erano stati loro a non ripescare la canzone di Tenco. Ma sono convinta che il biglietto non lo avesse scritto lui, c’erano due errori di ortografia che mai avrebbe fatto. Per quella storia sono stata messa nell’angolo. Sono sempre stata tartassata, i giornali non scrivevano una riga su di me, sembravo una cantante fantasma: eppure vendevo un sacco di dischi, eppure le mie canzoni sono state fatte in tutte le lingue, da gruppi famosi in tutta Europa».


Più facile oggi o un tempo arrivare al successo?
«Adesso è tutto più facile, grazie al web. Ma è più difficile perché tutti vogliono fare i cantanti, credendo sia una manna che scende dal cielo. Invece si deve lavorare 24 ore su 24, ogni giorno si ricomincia da capo e sei sempre sotto esame».


Come racconta nel libro l’altro grazie è per suo marito Osvaldo.
«È stato tutto per me: consigliere, produttore, marito, compagno e più che altro amico. Assomigliava a Montgomery Clift e John Travolta: il tempo ha cancellato tante cose, ma io lo vedo ancora come quel ragazzo di allora».


Siete sposati dal 1967, qual è il segreto?
«Essere sempre stati a contatto con la gente, qualsiasi screzio devi risolverlo al momento e devi fare buon viso a cattivo gioco. E poi siamo fortunati perché abbiamo due caratteri completamente opposti: io sono estroversa, tiro fuori tutto, posso anche offendere e poi mi pento in un attimo come niente fosse; lui è capricorno, testone, permaloso. Ci siamo amalgamati».


«Fin che la barca va» è la canzone che la identifica, eppure non le piaceva...
«Non diciamo quante copie ha venduto che poi sono sempre sottoposta a tasse in più... Io volevo una canzone d’amore e a me quel testo non piaceva. L’ho fatta a malincuore, meno male che mi ha convinto mia mamma».


Tornerebbe a Sanremo?
«La preoccupazione più grande è andare a cercare gli abiti per le cinque serate. E poi è una settimana di confusione, devi dare retta a tutti, parlare con radio e televisioni e poi la sera la voce non ce l’hai più».


Ha girato il mondo, ma ha sempre vissuto dove è nata.
«Anche se ero povera, la mia infanzia è stata bellissima. Qui sto bene, non ho nemmeno mai comprato case al mare o in montagna perché non ho mai avuto tempo di fare le vacanze».


Il futuro?
«Sto preparando un cofanetto di 6 cd che raccoglie una selezione delle mie canzoni e alcuni inediti per festeggiare i 55 anni di carriera».


Sono 150 canzoni, meno male che è una selezione. Quante ne ha cantate in tutta la carriera?
«Più di 1500».


E le parole se le ricorda tutte?
«Ho sempre un leggio, come Aznavour».