Il Messaggero, 19 settembre 2020
Taormina fa pignorare la villa di Cogne
In attesa dell’ultima udienza di merito, l’avvocato Carlo Taormina può procedere con il pignoramento della villetta di Cogne. La casa dell’orrore, quella dove nel gennaio del 2002 venne massacrato il piccolo Samuele, di soli 3 anni. Ucciso dalla sua mamma, secondo il Tribunale che nel 2008 ha reso definitiva la sentenza a carico di Annamaria Franzoni. La donna, tornata libera nel febbraio del 2019, dopo gli ultimi quattro anni trascorsi agli arresti domiciliari, ha chiuso i conti con la giustizia – la pena è estinta -, ma non con il suo ex avvocato.
RICHIESTA RESPINTA
L’ultimo atto di una vicenda giudiziaria che si trascina da anni è andato in scena ad Aosta, dove il giudice dell’esecuzione del tribunale ha respinto la richiesta di sospensione presentata dalla Franzoni e del marito Stefano Lorenzi. Adesso l’avvocato Taormina può procedere al pignoramento dell’immobile. La bagarre ha origine dalla sentenza civile che ha condannato la donna a risarcire il penalista con oltre 275mila euro per il mancato pagamento degli onorari difensivi. E adesso, con il pignoramento, la cifra è cresciuta a 450mila euro. Taormina, assistito dal figlio Giorgio, pure lui avvocato, dopo anni di richieste senza risposta ha deciso di rivolgersi al Tribunale e di agire sull’unico bene concretamente aggredibile: la metà della proprietà immobiliare nella frazione di Montroz. La Franzoni non abita più lì, era tornata nella villa per qualche giorno dopo avere scontato la condanna: da tempo la donna, il marito e i due figli – il più piccolo è nato dopo il delitto – si sono trasferiti sull’appennino bolognese e hanno cercato di cominciare una nuova vita, il più possibile riservata e lontana dalla visibilità mediatica che aveva accompagnato la fase del processo.
La donna e il marito avevano tentato di opporsi alla procedura sostenendo che la villetta non fosse pignorabile perché faceva parte di un fondo patrimoniale costituito nel maggio 2009. Il giudice Paolo De Paola, invece, ha sottolineato nella sentenza che quel fondo era stato costituito da Lorenzi in qualità di tutore della moglie, che all’epoca era interdetta dopo la condanna penale: a causa dello stato di detenzione, non poteva occuparsi dei bisogni materiali e morali della famiglia. E il pagamento del difensore rientrerebbe proprio in questa sfera, visto che la sua attività era funzionale a ottenere la possibilità di ritornare il prima possibile a casa. Per questo motivo l’esistenza del fondo, secondo il magistrato, non può essere motivo di opposizione.
LA VENDITA
Ora manca l’ultimo step: entro il 30 ottobre verrà fissato un giudizio nel merito sulla vicenda, sempre davanti al Tribunale di Aosta. Il passo successivo potrebbe essere la vendita forzosa dell’immobile che, nel corso degli anni, soprattutto nei mesi immediatamente successivi all’omicidio, è diventato meta di turismo macabro ed è finito sulle prime pagine di tutti i giornali e nei titoli di testa dei telegiornali. La storia ha da subito sconvolto l’Italia: il 20 gennaio 2002 Samuele viene ucciso nella villetta di Montroz e la madre, che ha chiamato i soccorsi, viene accusata dell’omicidio. Lei si è sempre dichiarata innocente e secondo i periti sarebbe affetta da un vizio parziale di mente. L’arma del delitto – un oggetto contundente – non è mai stata trovata.