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 2020  settembre 19 Sabato calendario

Haftar riapre i pozzi di petrolio in Libia

Khalifa Haftar annuncia la riapertura dei pozzi petroliferi grazie ai quali potrà ripartire la produzione e l’esportazione del greggio libico dopo otto mesi di interruzione.
L’annuncio è arrivato dopo l’incontro a Sochi, in Russia, tra il figlio del generale dell’autoproclamato Esercito nazionale libico (Lna), Khaled Haftar, e il vicepremier del Governo di accordo nazionale (Gna), con sede a Tripoli, Ahmed Maetig. Annuncio vincolato a una condizione posta dall’uomo forte della Cirenaica: gli introiti dell’export «non devono essere utilizzati per finanziare formazioni terroristiche». Una dichiarazione che potrebbe creare problemi visto che il generale, come noto, considera tali le milizie che controllano la Tripolitania.
La riapertura dei giacimenti è stata confermata in una messaggio dallo stesso vice di Fayez al Sarraj. A cui hanno fatto seguito due precisazioni di Haftar, ovvero che la riapertura è per ora limitata a un mese e che ciò non implica il ritiro dei mercenari della Wagner dalla mezzaluna petrolifera. L’intesa è articolata in sette punti tra cui c’è «la ripresa immediata della produzione e dell’esportazione di petrolio da tutti i giacimenti e terminal». È prevista inoltre «la formazione di una commissione tecnica congiunta che sovrintenda ai ricavi del petrolio e garantisca equa ripartizione delle entrate» derivanti dalla vendita degli idrocarburi.
Sebbene abbia sbloccato un’impasse che durava dal 18 gennaio, ovvero dalla conferenza di Berlino, l’accordo è stato accolto con perplessità sollevando in alcuni casi irritazione, come spiegano fonti Onu. In primo luogo perché la missione Unsmil è stata del tutto tagliata fuori, mentre il processo per la riapertura dei pozzi è sempre stato portato avanti da Onu e Stati Uniti.
Il secondo aspetto è che potrebbe avvantaggiare l’Est «con il rischio per Tripoli di dover ripagare di tasca propria i danni di guerra causati da Haftar».
Infine il fatto che Maetig abbia proceduto senza mandato del consiglio presidenziale, all’oscuro di un negoziato tenuto con il figlio di colui che è considerato un «criminale di guerra», e questo potrebbe creare problemi alla sua attuazione. Il numero due di Tripoli affronta ora il compito più delicato, convincere della bontà dell’accordo i colleghi di governo, prima di tutti Sarraj e il ministro degli Interni Fathi Bishaga, tra i più aspri critici dell’intesa raggiunta sulle sponde del Mar Nero.