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 2020  settembre 19 Sabato calendario

Borse, governi e mani invisibili

«It is what it is» («È quello che è ») è la frase preferita dei banchieri di Wall Street quando parlano di fusioni. Esprime sia il pragmatismo innato del mondo del denaro, sia la constatazione che ogni accordo finanziario è frutto di compromessi difficili.
La probabile vendita di Borsa Italiana al consorzio di Euronext, Cassa Depositi e Prestiti e Intesa Sanpaolo non fa eccezione. E’ un mega-compromesso dall’inizio alla fine – per chi vende, per chi compra e per chi investe. Ma è un compromesso che vale la pena per tutti, anche se magari si devono turare il naso.
Iniziamo da chi vende, LSE Group, padrone del famoso mercato di Londra. Gli inglesi devono liberarsi di Borsa Italiana per persuadere Bruxelles a dare il via libera all’acquisto del gruppo informatico Refinitiv per circa 27 miliardi di dollari. È uno di quegli affari che i banchieri chiamano «trasformazionale» quindi poco importa a David Schwimmer – non l’attore che interpretava Ross in Friends, purtroppo, ma il capo di LSEG – se riceve meno soldi di quanto potrebbe.
Sì, perché, stando alle indiscrezioni riportate da Reuters, Euronext-CdP ha offerto meno degli altri due rivali, gli svizzeri di Six e la teutonica Deutsche Boerse. Ma l’obiettivo di Schwimmer è vendere e il governo italiano ha fatto capire sia a LSE sia a Euronext che, senza un pizzico di tricolore, «questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai!».
Essendo proprietario di borse in mezza Europa, Stéphane Boujnah, capo di Euronext, è uno di quegli uomini d’affari che capisce il linguaggio dei politici e ha fatto il dovuto: una partecipazione dell’8% a Cdp e una serie di garanzie «d’italianità» per la borsa di Milano. Il bello per Euronext è che Borsa Italiana dà al gruppo una dimensione globale ben oltre le piazze di Amsterdam e Parigi, permettendogli di competere con i giganti USA.
La strategia del governo è stata chiara: i travagli di LSE e i bisogni di Euronext hanno permesso a Conte e i suoi di «riprendersi» un’istituzione importante che era passata agli stranieri nel 2007.
Capolavoro o intervento pesante sul libero mercato? Dipende dal tipo di capitalismo.
Nella versione franco-tedesca, questo è un miracolo di «politica industriale» che permette al paese di mantenere una presenza significativa in un bene d’interesse nazionale, non tanto la borsa ma Mts, la piattaforma delle obbligazioni su cui si compra e vende il debito nostrano.
In un contesto anglo-sassone, è una sberla scandalosa alla «mano invisibile» del mercato tanto amata da Adam Smith (anche se, in realtà, britannici e americani sono a favore del protezionismo quando gli conviene).
A protestare dovrebbero essere gli azionisti di LSEG perché la vittoria di Euronext gli fa perdere dei soldi. In pratica, non piangeranno tanto, visto che la loro società comprò Borsa Italiana per 1,6 miliardi di euro nel 2007 e la venderà per una cifra compresa tra i 2,5 e i 4 miliardi, e c’è l’acquisto di Refinitiv a distrarli.
Alla fine, non si è fatto male nessuno e tutti i «vincitori» hanno ottenuto gran parte di ciò che volevano. La domanda più interessante, per il governo italiano, è se questo sarà un modello da seguire in altre transazioni – il ritorno di un «capitalismo di Stato» che non si vedeva da un po’.
Per ora, a Londra, Roma e Parigi possono cantare vittoria. L’accordo c’è. It is what it is.