«Siamo entrati in una fase della Storia molto pericolosa perché d’ora in poi ogni stravolgimento è possibile e nessun Paese, nessuna istituzione, nessun sistema di valori né alcuna civiltà potrà attraversare queste turbolenze restando incolume», dice lo scrittore franco-libanese Amin Maalouf, che il prossimo 27 settembre riceverà a Udine il premio Terzani per il suo ultimo saggio Il naufragio delle civiltà (La nave di Teseo). Nato nel 1949 a Beirut da una famiglia cristiana, con l’arabo come madrelingua ma con una scolarità tutta trascorsa in un collegio di padri gesuiti francesi, Maalouf ha vinto nel 1993 il premio Goncourt con il romanzo Col fucile del console d’Inghilterra ed è stato eletto nel 2012 all’Académie française, dove da allora occupa lo scranno lasciato vacante dalla morte di Claude Lévi-Strauss.
Maalouf, lei scrive che quando "le luci del Levante si sono spente, l’oscurità si è diffusa in tutto il pianeta". Ma che cosa ha generato la profonda crisi del mondo musulmano, dallo smembramento della Libia alla guerra in Siria, dal regime degli ayatollah in Iran alla tragedia umanitaria in Yemen?
«È una regione del pianeta che sta attraversando un periodo molto difficile per motivi diversi, alcuni dei quali hanno origine nei secoli passati. Ci vorranno probabilmente decenni prima che il Medioriente riesca a risollevarsi dai problemi che lo funestano. Ma anche nei Paesi che oggi ci sembrano più devastati, credo che sia possibile cominciare a ricostruire delle società più moderne e riconciliate con il resto del mondo».
Lei considera le crociate come un evento fondante nel conflitto tra il mondo occidentale e quello arabo, una guerra iniziata quasi mille anni fa ma non ancora terminata, che la rende anche il nocciolo dello scontro di civiltà. In che modo la loro moderna percezione può aiutare ad arginare le violenze del nostro mondo.
«Negli ultimi trent’anni il conflitto tra i due mondi è molto peggiorato per via dell’inasprimento identitario fondato sulle religioni.
Abbandonare la logica del confronto tra religioni è possibile e auspicabile, ma per farlo la religione deve prima ritrovare il suo giusto collocamento. E io credo che la giusta vocazione di una religione sia quella morale, e che il suo scopo sia quello di offrire ai singoli individui, e non alle comunità o alle nazioni, una bussola per orientare il proprio comportamento. Ora, soprattutto nel mondo musulmano, la religione riveste un ruolo politico e nazionale, il che è un’aberrazione che conduce soltanto alla perversione di uno Stato».
Se paragonate ad altre epoche storiche, colpite da carestie, pestilenze ben più mortifere del Covid 19 o da conflitti maggiori, la nostra non è poi così malvagia. Siamo davvero sull’orlo del baratro?
«Certo, nel passato ci sono state crisi ben più gravi, eppure la maggior parte dei nostri contemporanei ha smesso di credere in un futuro di progresso e di prosperità. Siamo disorientati, arrabbiati, amareggiati e confusi. Soprattutto diffidiamo del mondo in subbuglio che ci circonda e siamo tentati di prestare ascolto a qualsiasi affabulatore. Direi che, rispetto al passato, siamo un’umanità sull’orlo di una crisi di nervi. Se una volta eravamo esseri effimeri in un mondo immutabile, oggi siamo per lo più esseri smarriti che non sanno dove stanno andando».
L’utopia comunista sta scomparendo mentre il trionfo del capitalismo si accompagna spesso a un’esplosione delle diseguaglianze. Che cosa fare per evitare il caos?
«Il problema è che non ci sono più dibattiti ma solo affermazioni identitarie, le quali stanno distruggendo il tessuto della società. L’umanità ha bisogno di una meta verso la quale dirigersi, senza la quale nasce quel malessere generalizzato così evidente nell’attuale crisi sanitaria. Quanto al comunismo è imploso anzitutto per i suoi limiti interni, per la sua incapacità di istaurare la democrazia e di risolvere i problemi economici. Il capitalismo, invece, che si ritrova oggi privo di regole e senza scrupoli, andrebbe emendato con considerazioni che esulano dalla sola nozione di guadagno. Per il raggiungimento di società più eque, coese e decenti, nelle economie mondiali andrebbe riscoperto e rivalutato il ruolo dello Stato».
Che cosa la spaventa di più, il cambio del clima, la fine delle ideologie o il riarmo mondiale?
«Alla minaccia climatica se ne aggiunge un’altra, nell’immediato altrettanto preoccupante: la corsa agli armamenti, che è tornata a livelli altissimi, in particolare tra quei Paesi che sognano di diventare, o ridiventare, grandi potenze mondiali e che gli Stati Uniti vogliono contenere. Ciò s’accompagna con la nascita di una nuova guerra fredda, tra Pechino e Washington, inevitabilmente dura. Altre guerre fredde si stanno preparando tra altre potenze mondiali, siano esse la Russia, l’India o l’Europa, tutte dotate di arsenali sofisticatissimi. Mai come in questo momento in cui non ci sono due blocchi contrapposti come in passato, sono altissimi i rischi che si produca un incidente militare con conseguenze devastanti a livello planetario».