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 2020  settembre 19 Sabato calendario

Quando il Maestro d’orchestra è donna

Nel nostro sempre più fiero brontolio di signore, non gliene facciamo passare una: come si permette un critico maschio di disapprovare le decisioni ( sbagliate) della presidentessa di giuria, femmina, della mostra di Venezia? Quale insipienza maschilista ha organizzato un convegno del tutto superfluo non invitando neppure una relatrice femmina? Però malgrado l’implacabile impegno, ci era sfuggita sino ad ora, per lo meno tra le non esperte del ramo, una discriminazione gravissima quasi quella che, per ora, ci impedisce di diventare papa: quella che rende un evento ancora raro che una signora afferri una sua bacchetta magica e diriga una sinfonia, un’opera, se non addirittura il cosiddetto top, uno sviolinare al festival di Sanremo. Se c’è un mestiere, una professione, in cui le donne sono ancora rare, mentre nelle serie streaming trionfano in ruoli un tempo solo virili, quali invincibili detective, sagaci prime ministre europee o criminali presidentesse americane, è quella appunto di direttore d’orchestra. E questa volta i maschi ci hanno fregato, infatti una giuria di 11 maschi e niente femmine ha assegnato l’altro giorno il prestigioso premio Cantelli destinato a un giovane direttore d’orchestra, (nel 1967 l’aveva vinto a 26 anni Riccardo Muti), a Tianyi Lu, 30 anni, una ragazza neozelandese, di origine cinese che attualmente vive in Olanda ed è già molto richiesta. Sarà stata una scelta politica oppure dettata dal terrore di dar nell’occhio alle nuove intransigenti di genere, e invece pare proprio che la ragazza sia davvero molto brava e tale sia stata giudicata dalla virile giuria. Adesso poi si mormora che, se le voci sulla prossima ancora incerta stagione del Piermarini saranno confermate, invitata dal sovraintendente Dominique Meyer, maschio, che già le aveva dato fiducia a Vienna, Speranza Scapucci, femmina dalla folta chioma rossa, dovrebbe dirigere Così fan tutte di Mozart. Pare normale? No non lo è, perché lei sarebbe la prima donna in 242 anni a salire sul podio leggendario della Scala per dirigere un’opera classica. Però a questo punto bisogna affidarsi a un bel libro, Direttrici senza orchestra di Ilaria Giani, pianista, consulente musicale, docente, che ci rivela anche come il tema sia molto sentito dalla grande comunità internazionale di appassionate di musica (più che dal femminismo generico), con decine e decine di ricerche, pubblicazioni, convegni, associazioni e interrogazioni: la signora Giani ci mette subito in guardia su quel “prima” che sempre arriva dopo altre “prime”. Perché i cronisti melomani che sarebbero più benvoluti se producessero due pagine su un ritorno di Orietta Berti o una arrivo del rapper canadese Drake, hanno la tendenza a proporre finte novità per poter scrivere di eventi musicali; le donne fan parte del pacchetto, e quindi, di rimozione in rimozione, ecco la prima donna, la finlandese Susanna Malkki che nel 2011 dirige alla Scala la prima assoluta di un’opera contemporanea da cui ci si aspetta pazientemente qualsiasi fastidio se non si è appassionati, solitamente scansata dai Celebri Maestri, Quartet di Francesconi; mentre nel 1995, sempre per la prima volta, una donna, la francese Claire Gibault, dirigeva per la Scala, ma al teatro Lirico, la ripresa di La station thermale di Fabio Vacchi. Dimenticando che nel 1992 c’era già stata a dirigere l’orchestra della Scala al Lirico, la prima volta della rumena Carmen Maria Carneci. Per fortuna ci sono sempre meno orchestrali che si ritengono oltraggiati da un conductor in pantaloni ma donna, anche perché ormai molti di loro sono donne. È il giornalismo che tuttora fa finta di stupirsi nella speranza di interessare anche i più tontoloni: con uno spreco dell’aggettivo rosa, sul podio una bacchetta rosa, è di scena la musica in rosa, la Sinfonica chiude in rosa, debutto in rosa per la Filarmonica… Nella stagione 2019-2020 per le quattordici fondazioni lirico-sinfoniche italiane su 170 direttori invitati, 7 erano donne, e sempre in Italia, negli ultimi vent’anni si sono diplomati direttori d’orchestra 530 uomini e 102 donne. Quante poi arrivino a dirigere grandi orchestre, sono certo ancora meno: soprattutto le italiane perché poi di straniere ormai ce ne sono di molto affermate, come direttrici d’orchestra ma anche musicali, di teatri importanti nel mondo. La vera colpa difficilmente sanabile delle direttrici d’orchestra è appunto quella di essere donne. Tanto per non cambiare, la direzione d’orchestra è ancora ammantata di una retorica patriarcale che non sopravvive in nessun altro ambito e che si condensa nell’appellativo di “Maestro”, non solo coordinatore di una esecuzione ma guida morale/spirituale di un gruppo: un guru, un profeta, un condottiero. Ilaria Giani parla di apparato simbolico, di rapporto di potere, di un immaginario collettivo che continua inconsciamente a ricorrere al codice sessuale ancora dominante. L’uomo può fare tutto, la donna deve provare di poter fare. Deve essere femminile ma comportarsi da uomo, nel senso che se un direttore maschio suda, si sbraccia, scuote la testa, ondeggia, si agita come un lottatore di sumo perché così richiede la musica, la direttrice femmina deve ottenere gli stessi sublimi effetti comportandosi da signora; gestucci carini, accenni birichini, mossette seducenti anche se il fragor degli ottoni fa tremare il palcoscenico? Non è chiaro, ma insomma l’immagine conta molto, e per esempio Leonard Berstein si complimentava così con Marin Alsop, «se chiudo gli occhi mi pare che sul podio ci sia un uomo». Riccardo Muti invece ha detto anni fa «Non c’è nessuna differenza tra uomini e donne sul podio ma la loro tendenza a mascolinizzarsi è un errore. E poi quando si vestono con il frak, io ho sempre detestato quell’abito da pinguino», e in un’altra occasione, «devono esprimere la loro femminilità, le vedrei bene nella sensibilità di Schubert, meno nella tempesta dell’Otello che potrebbe sembrare la negazione della femminilità». (Ma dico io, non Schubert della mascolinità?). Marin Alsop, americana, è stata ben due volte “la prima donna": a diventare direttore musicale alla guida della Baltimore Orchestra nel 2007 e a dirigere la filarmonica della Scala. Di lei, “carina, biondina, piccolina” una giornalista italiana nel 2008 scriveva «Quanto all’abbigliamento sul campo, pantaloni, eleganza discreta, qualche vezzo colorato qua e là. Un po’ donna-uomo, leggermente equivoca senza chiasso per non nuocere alla musica». Nuocere alla musica? Dicono le direttrici d’orchestra, quasi tutte contrarie ad assumere termini femminili, (meglio direttore che direttrice che direttora che altro): «Quando scrivono di noi si mette in risalto tutto fuorché la qualità professionale» ( Nicoletta Conti), «Preferirei che si scrivesse un commento sulla qualità» (Gianna Fratta che dirige col giubbotto di pelle ed è la giovane moglie di Piero Pelù, tanto per restare nel rosa); «Esiste una forma di rispetto nei confronti dell’orchestra e del pubblico che va mantenuta: dirigere in lungo, magari con la schiena nuda, significa incentrare il proprio ruolo di leader su una apparenza che troppo spesso non coincide con la consapevolezza del proprio ruolo». (Silvia Massarelli). Le direttrici d’orchestra che sia pure lentamente stanno con grandissima fatica conquistando l’ultima o la penultima antipatica fortezza misogina, si interessano anche di politica: e per esempio la trentenne, forse attualmente la più giovane Maestro europeo, Beatrice Venezi, si occupa d parità di genere (dicono da destra), Claire Gilbaut 75 anni, francese è un membro del parlamento europeo e fa parte della commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere. Un melosapiente mi ha assicurato che la lituana Mirga Grazinyle-Tyla, 34 anni, una bionda che dirige a spalle nude in abito da sera nero aderente, lo ha fatto anche come nessun uomo potrebbe, splendente in stato di avanzata gravidanza.