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 2020  settembre 18 Venerdì calendario

1QQAFA13 Antonio Scurati parla del secondo capitolo su Mussolini

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Nella scena più iconica del nuovo romanzo di Antonio Scurati, M. L’uomo della Provvidenza (Bompiani) Mussolini è di fronte al busto in bronzo che gli ha dedicato Adolfo Wildt, ingaggiato da Margherita Sarfatti, l’amante fidata. C’è molta tensione, l’opera esalta il volto fiero e tetro di «un uomo dentro e contro la Storia»; e un tiranno allo specchio reagisce in due modi: si ammira, o s’infuria. Per fortuna di Wildt, il Duce apprezza il ritratto magnetico e prepotente. «Magnifico, è così che mi sento». Ecco, Scurati in questo secondo volume della trilogia ci mostra il materiale molle, viscerale, umorale, terribilmente umano che c’è dentro, dietro e oltre quella maschera: dà voce al fango e all’argilla degli anni fascistissimi.


Se nel primo volume, M. Il figlio del secolo (dal 1919 al delitto Matteotti), Scurati racconta la violenza e la forza rivoluzionaria del fascismo, in questo M2 (dal 1925 al 1932) racconta gli anni del regime, della dittatura, la tragedia di una nazione che sacrifica l’individuo sull’altare della Patria. Come? Con uno Stato poliziesco che riduce la Storia a cronaca nera o rosa e con il miraggio di un Impero che sarà «collezione di deserti» ma seduce gli italiani e produce orrori. Tradotto in 40 Paesi, M è il miglior vaccino narrativo attualmente in circolazione contro i nuovi populismi: un romanzo europeo dove stile e contenuto si fondono nel discorso indiretto libero, libero perché la voce interiore del Duce è riprodotta senza caporali, costringendoci a farla scandalosamente nostra, libero perché lo sguardo è affrancato da pregiudiziali ideologiche che impedirebbero di raccontare da dentro e senza reticenze, come una lunga ammissione, gli ardori, i furori, gli errori e gli orrori del fascismo.


Scurati, classe ‘69, è nato a Napoli e cresciuto a Venezia, poi a Milano, dove si è laureato in Filosofia, perfezionandosi a Parigi. Attualmente insegna scrittura creativa all’Università IULM di Milano e dirige con Gianni Canova il Master in Arti del racconto. Lo incontriamo a Ravello, costiera amalfitana, luogo di vacanza da quando «ero piccolo così», fa con la mano a metà del femore.


In M2 la narrazione del fascismo è mutazione del corpo sociale e politico dell’Italia attraverso il corpo del Duce, che cambia.
«Mussolini è il primo politico che mette il corpo al centro della scena, come strumento di dominazione e seduzione delle masse. Violento se ferisce, erotizzato se seduce. I commentatori che bollano i nuovi leader populisti come fascisti, dimenticano che sono eredi di Mussolini in quanto lui è l’archetipo del leader populista, non in quanto fondatore del fascismo. Attenti a liquidare come stupidi Trump o altri, perché tutti hanno un corpo, mentre non tutti hanno un dottorato ad Harvard e con il loro corpo, i populisti comunicano al corpo di tutti. In M1 racconto il corpo violento ed erotizzato, in M2 il corpo diventa mistico, trasfigura in un simulacro impalpabile perché si materializza nei busti, nel filmati Luce: ma è un corpo malato, afflitto da ulcera duodenale per tutta la sua vita politica adulta. Per 5 settimane Mussolini è stato lontano dai riflettori, per l’ulcera che l’ha portato quasi alla morte. Fatto noto, ma gli storici lo liquidano in due righe».


Nell’enfasi ai tormenti fisici sento una sottolineatura morale.
«La politica fascista come malattia si iscrive non solo nel corpo del Paese, ma pure nel corpo di Mussolini. L’ulcera duodenale è una patologia molto psicosomatica. Lo faccio disperare nel primo capitolo, l’unico in cui parla in prima persona, assieme all’ultimo: “Io non fumo più non bevo quasi più mangio cibo liquido, perché mi capita tutto questo?” Perché quel morbo è il fantasma di Matteotti ucciso dalla violenza fascista che non si ferma».


Alla vita di Mussolini attentano aspiranti tirannicidi che, fallendo, lo fanno apparire come l’uomo della Provvidenza, espressione usata da Pio XI e dai media, anche internazionali.
«La polarizzazione sulla persona, la riduzione della politica a dialettica amico/nemico, è un tratto di ipermodernità di Mussolini. Già nel ‘25 non resta che uccidere il tiranno o adorarlo. E ogni attentato a Mussolini viene sfruttato per andare verso una dittatura assoluta, uno Stato totalitario. Alcuni attentati erano se non organizzati da frange interne del regime diciamo lasciati accadere o quasi. Le leggi fascistissime per la difesa dello Stato e del Duce scattano poche settimane dopo l’attentato di Bologna, dove è ingenuo pensare che l’autore fosse quel ragazzino... Negli Anni 70 la destra eversiva ha provato, più o meno consciamente, a far succedere qualcosa del genere, con la strategia della tensione».


La parte documentaria del libro presenta materiale pubblico, privato e persino segreto, svelato grazie alle intercettazioni.
«Ho fatto crescere la parte documentaria, quasi una linea narrativa autonoma, per mostrare come funziona lo Stato di polizia che il regime crea, incarnandosi in Arturo Bocchini: la natura oppressiva oltre all’esercizio sporadico della violenza fisica si manifesta nella superfetazione della dimensione burocratica dello Stato che copre tutto il corpo della nazione fino a soffocarlo. L’Ovra trasforma l’Italia in un popolo di delatori, con dossier e denunce che servivano non solo a danneggiare il rivale politico ma pure a regolare le liti in condominio».


Pure Mussolini è intercettato...
«Era il controllore, finisce controllato. Gli aspetti della vita intima, le gelosie e miserie con le amanti, le avventure della figlia Edda... ancora oggi è tutto documentato da quegli strumenti di controllo. Ecco l’ argomento principale del libro: l’attesa dell’uomo della Provvidenza viene delusa. Il Mussolini dei primi anni, sedicente capo rivoluzionario che a molti appariva innovatore, presto si impantana nella palude eterna ministeriale di cui diventa erede e artefice: molti tratti della burocrazia statale e ministeriale che oggi affliggono il Paese risalgono al ventennio. In questo l’attesa dell’uomo della Provvidenza viene delusa».


Difficile non pensare a Berlusconi, che nel 1994 si definiva l’Unto del Signore, perché c’è qualcosa di divino nel venire scelto dalla gente, diceva.
«Alla fine, diciamolo, politicamente cosa ha fatto Silvio Berlusconi per questo Paese?».


Lei descrive la forza anche mediatica della campagna di Farinacci, sempre violentissimo, contro Augusto Turati, volto moderato del regime, coinvolto in uno scandalo di tangenti ma infangato nella vita privata, come una “libidine scandalistica”. Mi pare una libido che in Italia non cala mai.
«Le faide tra clan fascisti che racconto, per quanto nascondano malversazioni e frodi, alla fine su cosa cadono? Sullo scandalo sessuale».


Di Turati, grazie alla complicità di un’amante tradita che poi ritratterà tutto, scrivono che era pedofilo e pederasta, perché in alcune lettere chiama “maschietto” una ragazza con i capelli corti, in stile jazz.
«Sì ma non è solo aneddotica. Se si spoglia il corpo della nazione da funzioni civiche, intellettuali, culturali, progettuali tutto si riduce alla cronaca nera, la violenza, o alla rosa, il gossip. I crimini fascisti, piccoli e grandi, efferati, insensati, è come se avvenissero in un bordello, in un puttanaio di pettegolezzi erotici e sessuali. Mussolini e famiglia, Edda e Ciano, il clan... sono oggetto di un gossip sfrenato che in parte lui alimenta. Questo è un altro paradigma nuovo: prima, dei governanti non si sapeva che faccia avessero, a parte il volto del re sulle monete. Giolitti? Nitti? Buio totale sulla loro vita, sui loro volti. Mussolini invece crea attorno al suo corpo, alla sua vita, un’attenzione morbosa».


Politicamente il Duce sfrutta il “vantaggio tattico del vuoto”. Accoglie e rigetta contenuti e idee alla bisogna. Oggi chi sfrutta al meglio questa tattica?
«La Lega che nasce come partito su base regionale e secessionista e poi vira verso il partito nazionale. Virata apparentabile, nell’ampiezza dell’angolo, a quella di Mussolini che nasce socialista. E poi il Movimento 5 Stelle che in una stessa legislatura governa prima con l’ala estrema della destra, non con il più moderato Berlusconi, e poi con gli opposti, a sinistra. Sinistra che invece è azzoppata dall’ancoraggio a principi, pratiche e orizzonti strategici del 900».


Cosa resta della sinistra oggi?
«Poco. Per vent’anni quelli che si volevano eredi della tradizione antifascista hanno ingaggiato contro Berlusconi un conflitto mimetico in cui combatti l’avversario finendo con l’assomigliarli: è stato letale. Che l’ultimo presidente del consiglio di centro-sinistra alternativo a Berlusconi sia stato Matteo Renzi lo dimostra in maniera icastica».


Voterà al referendum per la riduzione dei parlamentari?
«Non mi appassiona questa ennesima e reiterata iniziativa legislativa popolare per ridurre il numero dei parlamentari; vedo il portato di quella accanita e furibonda campagna di discredito delle istituzioni democratiche e del Parlamento che i movimenti populisti, cioè Lega e 5 stelle, ma pure Renzi, hanno condotto per anni. Il lessico, anche se non con le stesse intenzioni, è quello creato da Mussolini: definiva il movimento dei fasci di combattimento un antipartito. Non mi piace questo spirito antiparlamentare».


Lei ha assorbito il linguaggio del Duce per raccontare il fascismo da dentro. Quali espressioni le sono suonate familiari?
«Quando parla del grande destino degli italiani all’assalto della Storia: ho tremato, un sussulto, ho sentito anche la mia lingua, il mio pensiero quando rifletto sulla nostra condanna a vivere nella cronaca, alla nostra mancanza di sentimento della Storia che libera e apre orizzonti più ampi dell’esistenza e della vita politica altrimenti ridotti al week end o alla crisi di governo. Anche quando Mussolini dice che l’Impero è la nostra destinazione e alberga nell’animo di ogni uomo: è una terribile verità. Se viaggiamo in Paesi poveri dove abbiamo potere d’acquisto facciamo un po’ l’esperienza dell’impero, ma per obbedire al politicamente corretto la travestiamo con la retorica dell’interesse per l’altro, il turismo consapevole».


Lei racconta in M2 gli orrori italiani che il sogno dell’Impero ha prodotto in Libia. Usammo gas banditi dai trattati internazionali, allestimmo campi di concentramento, come a El Abiar, di cui a pag. 535 c’è una foto.
«Se guardiamo bene quella foto, scopriamo che siamo stati non solo colonialisti e imperialisti tardivi ma genocidi, abbiamo deportato cento mila civili dagli altipiani della Cirenaica in 18 campi di concentramento sulla costa: il tasso di mortalità è al 50%, anche se non li mettevamo nei forni. Rodolfo Graziani in quegli anni fu al tempo stesso un eroe da romanzo dell’immaginario esotico occidentale, condottiero ed esploratore nei deserti: come non sentire il fascino di questi mille soldati che marciano per 600 km in un deserto sconosciuto? Ma fu pure quel tipo d’uomo, quella pasta d’uomo che ha creato il primo sistema di campi di concentramento su grande scala, senza precedenti nel 900, se escludiamo la guerra angloboera. È il crinale, ambiguo, del mio racconto».


La ferocia del nazismo come male assoluto ci illude di poter avere degli sconti di colpa.
«Il campo di concentramento italiano è una espressione del male relativo, progettato da uomini che non avevano la ferocia ideologia del nazismo. Su questo possiamo essere d’accordo. Con il passo ulteriore, forse no. Io racconto Cufra, oasi del deserto del sud della Cirenaica: oggi luogo di transito di prigionia e smistamento della tratta dei migranti, 80 anni fa luogo di una delle grandi imprese coloniali italiane, un nome leggendario. All’epoca la violenza era figlia della colonizzazione, oggi la violenza è figlia della decolonizzazione. Nessuno però osa interrogarsi su cosa sia diventato il mondo dopo che l’occidente imperialista si è disimpegnato lì».


A sinistra c’è una corrente che censura opere letterarie e cancella monumenti di personaggi storici accusati di razzismo, imperialismo...
«Siamo al turning point del politically correct, se vira verso le sue propaggini violente e fanatiche dimostra di essere una dittatura culturale che mortifica l’intelligenza e comprime il pensiero. Impacchettare e proteggere la statua di Churchill da eventuali vandali è una resa della civiltà europea, un’abdicazione all’intelligenza della Storia e di noi in quanto esseri storici. Noi, non gli Stati Uniti d’America, siamo il paradiso degli individui, della tolleranza, dello spirito critico. Il punto non è se Churchill sia stato razzista, imperialista, alcolista... è stato tutte queste cose! E non è che solo dopo tutto questo è anche diventato il leader che da solo è restato in piedi contro Hitler. No, lui è il leader europeo che resiste alla barbarie del nazismo perché era stato imperialista, colonialista, guerrafondaio, alcolista. Se non vediamo questo siamo dei bambini. No, i bambini sono intelligenti. Siamo sciocchi».


In Italia si è discusso sulla statua di Montanelli a Milano.
«E ancora: Montanelli è stato un colonialista? Un sessista? Un razzista? Sì perdio! Ma è come chiedersi: siamo stati fascisti? Sì, e l’abbiamo dimenticato, gli italiani in maggioranza son stati fascisti. Il problema di Montanelli a sinistra è stata la beatificazione in chiave antiberlusconiana, per cui tutto era perdonato».


In M la narrazione interna al fascismo si rivela un discorso politico indirettamente e liberamente antifascista. Quali sentimenti prova lei per il fascismo?
«Non ho mai avuto fascinazione per Mussolini o il fascismo, sin da ragazzo sognavo di fare un romanzo sui partigiani. Però non appartengo a quel numero, non infimo, di intellettuali che ha avuto in Mussolini o alcuni personaggi del fascismo un padre da uccidere. Anche in famiglia, porto il nome del nonno paterno, famiglia lombarda, tornitore all’Alfa Romeo, socialista non militante, taciturno; mio padre poi è sempre stato una persona seria. La parte estrosa arriva da mia madre, che discende dalla famiglia dei Guarino, storica e oggi dispersa compagnia di commedianti. Ma è la serietà che mancava al fascismo, in bilico tra tragedia e farsa. Anche oggi direi: è pieno di stronzi il cui unico merito è fare i simpatici. Io a lungo sono stato un antipatico».


Oggi meno. Grazie al successo?
«Sono più sereno, più gentile da quando è nata mia figlia. Mi sono scoperto padre, ho provato la gioia di accogliere una vita che non è la tua, e una voce poi, per cui è necessario lo svuotamento della tua, la kenosis greca. L’ammansirsi del carattere mi aiuta a scrivere libri migliori. Ho sempre creduto all’arroganza giovanile dell’agonismo, fondamentale per aprire a quasi 50 anni un cantiere come M. Diciamo che se non si è arroganti da giovani non si è giovani fino in fondo. Ma se si continua a esserlo verso i 50 e oltre si è degli imbecilli».