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 2020  settembre 18 Venerdì calendario

Intervista allo chef Enrico Bartolini

Sono tre le Milano di Enrico Bartolini. La prima è quella che racconta l’euforia gastronomica vissuta dalla città negli ultimi anni e quasi simbolicamente chiusa con le tre stelle. Un premio che a Milano mancava dai tempi di Gualtiero Marchesi. La seconda è quella del lockdown: ci sono città dove l’epidemia ha fatto più morti ma in nessuna il contrasto tra prima e dopo è stato più forte. Poi c’è la terza Milano: quella cauta ma decisa a ripartire. Abbiamo intervistato Bartolini in due fasi. La prima il 19 febbraio, al Pandenus di piazza Gae Aulenti, nella nuova Milano dei grattacieli, set perfetto per un servizio fotografico. Poi il 9 marzo il premier Giuseppe Conte ha chiuso gli italiani in casa per salvare il Paese dalla catastrofe. Così abbiamo fermato tutto e ci siamo rivisti in questi giorni, a pranzo nel suo ristorante, al primo piano del Mudec, il Museo delle Culture che sta in via Tortona, cuore della Milano del design. Sono trascorsi 7 mesi ma potrebbero essere 7 anni da quanto sono cambiate le domande e le risposte. «La sera è sempre pieno – dice Bartolini -, a pranzo ci sono giorni in cui va bene e altri no. In estate, quando siamo ripartiti, riservavo un tavolo al personale della cucina, per fargli capire il lavoro in sala. Si comportavano da normali clienti e finito il pranzo mi facevo raccontare le loro impressioni».

Prima
Torniamo al 19 febbraio, una giornata milanese di fine inverno, fredda ma limpida, con i turisti a fare le foto al Bosco Verticale, gli studenti a prendere un po’ di sole nella Biblioteca degli alberi, e un movimento frenetico di persone che telefonano, passeggiano, prendono il caffè nei bar di piazza Aulenti. Bartolini pochi mesi prima non solo ha riportato a Milano le tre stelle Michelin ma ne ha raccolte in totale 8 distribuite in 5 locali dimostrando di aver costruito un network di cucina gourmet come nessuno era mai riuscito in Italia. L’impressione non è tanto di un uomo all’apice del successo quanto di un uomo concentrato a consolidare il suo lavoro. Asciutto, diretto, essenziale. Come sono alcuni dei suoi piatti. «Siamo fortunati a lavorare a Milano. C’è un pubblico di milanesi e di turisti che al ristorante cercano l’esperienza gastronomica e non solo il piacere di uscire. In una città in crescita urbanistica e culturale è bello concedersi il lusso di esprimere le proprie idee».
Perché Milano è diventata la capitale gastronomica d’Italia?
«Perché commercialmente l’apertura di Milano è più ampia di altre città».
Che vuol dire commercialmente?
«Che la continuità della proposta pranzo- cena non ha una settimana feriale o festiva. Tutti i giorni è una grande festa per chi la desidera. In provincia il week end è un momento diverso dalla giornata feriale. Il nostro sogno è mettere in equilibrio la proposta dal lunedì alla domenica. Bisogna riuscire ad avere costanza ed equilibrio, è un’idea anche etica. Non è che devo per forza fare due giri il sabato per compensare il mercoledì. Alcune persone vengono nel tuo ristorante una volta sola nella vita. Hanno fatto l’esperienza, mettono il flag “ci sono stato”, ma di quella esperienza magari ne parlano tutta la vita. Diventano dei comunicatori pazzeschi».
Le tre stelle hanno cambiato qualcosa?
«Adesso il pranzo da noi ha una vita che prima non aveva».

Un’intervista piena di ottimismo, di idee e di progetti. Cento giorni dopo l’Italia si ferma. 
Durante«Quando sono cominciate ad arrivare tutte quelle informazioni sulla pandemia anch’io mi sono chiuso in casa – racconta Bartolini –. Non mi sentivo organizzato per ripartire subito con il delivery. Tre volte a settimana uscivo e andavo a trovare i miei figli a Bergamo. Ho scoperto che giocare a pallone con mio figlio è bellissimo. Lo facevo poco. In quei giorni gli ho insegnato a tirare le punizioni, i rigori, a fare i colpi di testa. Tifa Atalanta. Con il grande facevo i compiti, con la piccola pettinavo la Barbie. Tutti assieme abbiamo preparato le crepes. Se voglio trovare un lato buono in questa tragedia eccolo. I bambini ti insegnano molto. Chiuso a casa ho cucinato pranzo e cena tutti i giorni. Piatti tradizionali. C’era qualche fornitore che mi mandava dei prodotti da provare. Pianificavo il menu domestico per due settimane e ordinavo la spesa on line. È bellissimo, non sprechi niente. Quando si è cominciato a parlare di riaprire con il plexiglass ero sfiduciato. Avevo timore per i conti ma alla fine la disciplina amministrativa che abbiamo sempre seguito ci ha salvati. Noi siamo ripartiti, ho fiducia, ma mi sento emotivamente molto coinvolto con le attività che hanno aperto da poco e non sanno come gestire la crisi. Spero che lo Stato continui ad aiutare i ristoranti».
DopoLa ristorazione a Milano oggi sta cercando un modo nuovo per lavorare e convivere con il virus. Da Bartolini non c’è bisogno di distanziare nulla, sono solo otto i tavoli con spazi enormi. Lo chef nel periodo di stop ha concepito nuovi piatti. Alcuni sembrano costruiti proprio per lanciare un messaggio di ottimismo, comunicano piacere per gli occhi e per il gusto, come il filetto di vacca Podolica della Basilicata servito con una tatin di funghi porcini e pesche tabacchiere. Una ricchezza da piatto della domenica con il maitre che lo serve al tavolo con la sua salsa. 
«Il filetto in osso era una cosa che volevo fare da tempo. Abbiamo iniziato a lavorarci due anni fa con dei tagli di manzo ma il risultato non ci convinceva. Poi abbiamo provato la Podolica. Il filetto è frollato 25 giorni. Siamo quasi arrivati dove volevamo. Non è una preparazione usuale perche pochi sacrificano l’osso per una cottura in padella, è un taglio destinato alla brace».

I piatti di Bartolini girano attorno ai grandi prodotti italiani. «Abbiamo una persona – spiega – che si occupa di cercare varietà interessanti di frutta e di verdura. Per esempio i ceci neri delle Murge. Hanno una consistenza fantastica ma devi reidratarli per quattro giorni cambiando l’acqua ogni 2-3 ore. Adesso è il momento dei peperoni: quello che ci è piaciuto di più è campano, si chiama Cazzuto». Siamo in un tavolino all’ingresso, con le mascherine. Ma i clienti escono tranquilli, l’atmosfera è rilassata. 
Bartolini come se la caverà Milano? «Si riprenderà, torneranno i turisti, dobbiamo solo attendere. La situazione è molto preoccupante ma una buona ristorazione, la moda, il design, i grandi vini in Valtellina e Franciacorta sono dei punti di forza che restano. Viviamo un momento durissimo ma se sosteniamo la ripartenza con diligenza ce la faremo».