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 2020  settembre 18 Venerdì calendario

I cinesi scoprono il vintage

C’è chi lo fa per necessità e chi per scelta. Ma l’acquisto di abiti usati ormai è stato definitivamente sdoganato in Occidente, tanto che è diventato un modo alternativo per fare shopping, soprattutto per i capi di alta moda. Lo testimoniano anche le diverse piattaforme web che sono note per facilitare l’incontro tra domanda e offerta, come The RealReal, oppure ThredUp e Depop. Ma c’è un Paese che, da grande produttore e consumatore di abbigliamento, è in ritardo rispetto ai principali attori della moda: la Cina.
Il mercato del second hand cinese, come viene raccontato in un recente servizio pubblicato dalla Cnn, fino a oggi è stato ostacolato dai timori di imbattersi in articoli contraffatti, la sua crescita è stata rallentata perché i cinesi pensano che il proprio status sociale possa essere messo in discussione acquistando vestiti usati e infine c’è anche un’antica superstizione che riguarda l’indossare abiti di altre persone: diciamo che nella Repubblica Popolare portare i vestiti di un individuo che non c’è più non è di buon auspicio, visto che la tradizione raccomanda di bruciare gli indumenti del defunto in modo che possano raggiungerlo nell’aldilà.

Nel Paese più popoloso del mondo l’interesse per gli indumenti di seconda mano resta quindi basso. Ma potrebbe essere solo una questione di tempo e di strategie di marketing, come fa notare Xie Xinyan, influencer di moda con oltre un milione di follower. Il negozietto di periferia pieno zeppo di vestiti ammucchiati alla rinfusa probabilmente non funzionerà in Cina, ma nella Terra del Dragone si sta registrando un aumento significativo di punti vendita che alzano il livello, propongono i capi usati come «vintage» e così si fa tendenza. Una moda importata dal vicino Giappone, spiega alla Cnn Xie, dove l’interesse verso la cultura vintage è iniziato prima.

La diffidenza dei cinesi verso gli acquisti di seconda mano può quindi essere superata, aprendo così le porte a un business potenzialmente importante visti i numeri del mercato orientale: i tabù della superstizione sono ormai caduti, secondo l’influencer le persone sono piuttosto preoccupate per gli aspetti igienici. Start-up e colossi del commercio digitale come Alibaba stanno approcciando questo settore. Secondo un recente rapporto del Boston Consulting Group i beni di seconda mano rappresenteranno nel 2021 il 9% di tutte le vendite di lusso, mentre in Cina questo valore si fermerà al 2%.

Un comparto, quello dell’usato, ancora embrionale, ma il suo sviluppo potrebbe avere un impatto positivo anche sull’ambiente, visto che l’industria tessile orientale produce il 10% delle emissioni di anidride carbonica. La Cina, però, è un buon esportatore di abiti usati, che indirizza soprattutto in Africa: il solo Kenya ha acquistato il 20% degli indumenti usati di Pechino. Potersi fidare di merci costose e di alta qualità è il «primo passo affinché i cinesi accettino l’idea di acquistare di seconda mano», osserva Austin Zhu, cofondatore della piattaforma Zhi Er, l’equivalente cinese di The RealReal. «I marchi italiani sono i più popolari sulla nostra piattaforma».