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 2020  settembre 18 Venerdì calendario

Il campionato riparte dagli eroi del 2006

Era successo che Rino Gattuso, ormai vicino al crepuscolo della carriera, avesse rilevato una pescheria di Gallarate, non distante da Milanello. Siccome il pesce era davvero buono, e Gattuso ovviamente una persona di fiducia, la cambusa del centro sportivo aveva stretto un accordo con la suddetta pescheria per rifornirsi lì. Non c’era nessun segreto, ma non è che i giocatori – al Milan come altrove – richiedano la lista dei fornitori del club: così, quando qualche anima bella soffiò la notizia nello spogliatoio, venne architettato uno scherzo all’ignaro Rino. Il primo giorno in cui i camerieri servirono abbondanti porzioni di branzino, in sala ristorante calò un insolito silenzio. Rotto da Andrea Pirlo, che si alzò in piedi solenne e, con aria schifata, sentenziò «questo pesce è immangiabile, ma dove l’avete preso?». Gattuso ci restò malissimo, dovettero assicurargli che di scherzo si trattava e che il suo pesce non aveva nulla che non andasse – prova ne sia il fatto che ancora oggi le cene tra vecchi compagni più gradite sono quelle in cui “ci pensa Rino” —.
A lungo Pirlo insistette con la citazione della burla, ovvero lamentandosi del pesce ogni volta che a Milanello se lo ritrovava nel piatto: a quel punto Gattuso gli agitava davanti al naso la forchetta, e finiva a risate. Non doveva fare molta strada, essendo il suo vicino di tavolo: se nel calcio esiste un’amicizia inossidabile, è quella che unisce i due giovani allenatori della Juventus e del Napoli. E il dato saliente del campionato che va a iniziare è esattamente questo: una nuova generazione vuole prendere il potere, ed è una generazione parecchio unita. È quella dei campioni del mondo del 2006.
Se ne sono resi conto per primi i compagni che viaggiano con loro per le partite tra vecchie glorie. Racconta Massimo Ambrosini: «Quando giocavamo la regola era ferrea: in ritiro, in aereo, in camera prima di dormire si parlava di qualsiasi argomento, tranne che di calcio. Ora si è rovesciato tutto. Si parla solo di calcio, e a livelli maniacali. A tavola è un continuo spostare saliere, bicchieri, molliche di pane, ‘il terzino esce così’, ‘la mezzala si inserisce qui’, ‘la punta deve farmi pressing’ e così via». 
Par di capire che il più professionista, o forse il più fissato, sia Pippo Inzaghi, che quest’anno torna in serie A con il Benevento dopo la marcia trionfale in B: conosce vita, morte e miracoli di tutti i giocatori, e i vecchi compagni lo sfruttano come database. Oltre a Pirlo e Gattuso si danno da fare con la mollica anche Sandro Nesta, che la A l’ha sfiorata con il Frosinone – eliminato dallo Spezia all’ultimo spareggio – e Massimo Oddo, da poco richiamato al Pescara, anche lui in seconda serie. Sono tutti campioni del mondo. Del gruppo di Marcello Lippi ha già assaggiato la serie A anche Fabio Grosso, sia pure nella modalità indigesta subentro-esonero, mentre Cannavaro ha vinto in Cina col Guangzhou e Camoranesi è stato promosso in Slovenia dal Sezana al Maribor. Al momento hanno una panchina anche Gilardino in D (Siena) e Barone al settore giovanile del Sassuolo. Altri seguiranno: Toni, per dirne uno, si è appena diplomato a Coverciano assieme a Pirlo. De Rossi, quando verrà (e non ci vorrà molto), sarà un debuttante con la stessa hype di Pirlo e Gattuso.
Il fatto che i calciatori vincenti ai massimi livelli colgano da allenatori risultati analoghi è tutt’altro che automatico. Prendiamo gli azzurri dell’82. Dei ventidue eroi di Bearzot soltanto Dino Zoff ha portato a casa qualcosa con un club – la Juve – e precisamente coppa Uefa e coppa Italia, che peraltro non lo salvarono dall’avvicendamento con Maifredi. Tardelli, Gentile e Cabrini hanno fatto un po’ di carriera in azzurro – i primi due hanno vinto un titolo europeo Under 21 – ma in serie A, oltre a Zoff e lo stesso Tardelli, sono arrivati soltanto Graziani e Conti, e per brevissimi periodi di “servizio civile” nei loro club in difficoltà, la Fiorentina e la Roma. Tirando le somme, la generazione dell’82 in panchina non ha combinato praticamente niente. Ma quello era un altro mondo, nel quale la figura dell’allenatore era assai meno rilevante, e dunque il suo carisma non così considerato. Perché è innanzitutto questo che un grande campione al debutto da tecnico può portare in uno spogliatoio. Il suo carisma.
Prendiamo Zidane, il cui esempio è stato il più citato al momento della nomina di Pirlo. È vero che il francese aveva già accumulato un po’ di esperienza come vice di Ancelotti e allenatore del Castilla – la seconda squadra del Real – ma le sensazioni che aveva lasciato non erano granché positive. Per dirla tutta, la lettura dell’epoca fu che Florentino Perez, non potendone più del povero Benitez, avesse usato Zizou per liberarsene subito, prendendo poi tempo sino a fine stagione per scegliere il tecnico “vero”. Ma una volta entrato in uno spogliatoio di suoi pari (o quasi, ce ne vuole per ricalcare il livello del fuoriclasse marsigliese), Zidane liberò il suo carisma e tutto magicamente andò a posto. Il suo predecessore non poteva far giocare Casemiro, giudicato tecnicamente rozzo, invece a lui fu consentito senza che nessuno ci mettesse becco. Ronaldo e gli altri, che sfottevano Benitez chiamandolo ironicamente “el diez” (il 10, la stella), davanti a una vera superstar della loro professione si chiusero la bocca dando un taglio ai sarcasmi. Vennero tre Champions League consecutive più una Liga, figlie di un Real Madrid che giocava a esaltare le proprie doti più che a correggere i propri difetti. Ma senza il carisma che gli derivava dalle grandi vittorie, Zizou non sarebbe mai riuscito a spiegarsi in uno spogliatoio silenzioso e attento.
La differenza fra il gruppo dell’82 e quello del 2006, che ha già ottenuto aperture di credito molto più significative – a Gattuso sono stati dati prima il Milan e poi il Napoli, Pippo Inzaghi era partito da un Milan per sua sfortuna minore – non è altro che la diffusione mediatica: 40 anni fa vedevamo i grandi stranieri soltanto ai Mondiali e le volte in cui i loro club incrociavano i nostri nelle coppe. Oggi vediamo tutte le partite di tutti i campionati, il che significa conoscenza anche approfondita della genesi di Guardiola – e da Ciro Ferrara a Simone Inzaghi quasi tutte le squadre italiane hanno cercato “il loro Guardiola” – del dominio psicologico sull’ambiente di Mourinho, cui Conte tende anche inconsapevolmente, dell’energetica rivoluzione di Klopp, che ha in Gasperini un epigono filosofico anche se non tattico.
Si prende, si copia, si adatta, si contamina. La tesi con la quale Pirlo ha ottenuto il diploma, per esempio, contempla il gioco posizionale e il gegenpressing. Sono temi interessanti. Ma se potrà svilupparli con calma, sopravvivendo ai normali errori del neofita, il merito sarà del suo titolo mondiale.