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 2020  settembre 18 Venerdì calendario

Cani, gatti e padroni straordinari

Lord Byron insisteva a annegarsi nei laghi di Newstead, l’abbazia vicino a Nottinghamche risaliva al 1170 – il re Enrico II aveva dovuto erigerla per l’assassinio di Thomas Becket: era la sontuosa proprietà del poeta, dal giusto tocco neogotico e preromantico alla moda. Byron simulava volentieri di annegare in uno dei suoi laghi per via di Boatswain. Era Boatswain (Nostromo, cioè) un fox-terrier – il preferito tra i suoi cani – addestrato ai salvataggi in mare; e riportava infatti regolarmente il padrone, salvo, a riva. Boatswain fu morso da un altro cane arrabbiato e diventò aggressivo, ma mai attaccò Byron; per la sua tomba a Newstead il poeta compose un famoso epitaffio («un essere che possiede la bellezza senza la vanità, la forza senza l’insolenza…»), e contava di riposargli accanto, ma era pieno di debiti, e nel 1817 l’abbazia ancestrale fu venduta.
Anche Octave Mirbaud – l’autore del piccante Diario di una cameriera – ebbe delle sorprese dal suo cane, che gli era arrivato cucciolo, per posta, da unamico.Mirbaud provò subito simpatia per quell’animale indipendente e indignato che cercava di poppargli le punte delle pantofole e che gli assomigliava: adorava i poveri e le signore leggere – Mirbaud (che aveva sposato una cocotte e abbracciava tutte le cause perse) pensava che nel caso del cucciolo fosse per via degli odori forti. Ma era un dingo – i dingo, a metà tra cane e lupo, vivono selvaggi in Australia, facendo stragi, da soli o in bande, di pecore, buoi emarsupiali: anche grossi; nella campagna francese, galline, pecore, tacchini, maialini d’India e altre tentazioni trasformavano ogni tanto il feroce riserbo di Dingo in fremente efferatezza (è lui a prendere la parola nel 1913 nell’incantevole racconto Dingo).
L’amico dell’uomo riservò sorprese anche a Romain Gary. Un pastore tedesco si era presentato accanto al gatto di casa Sandy davanti alla villa di Bel Air dove lo scrittore viveva con la moglie attrice Jean Seberg, e naturalmente era stato adottato, col nome di Batka; sembra fosse fuggito dal caravan in fiamme di un poliziotto in pensione. Era l’epoca in cui Jean Seberg – un arcangelo – si era innamorata di Hakim Jamal, il capo delle Pantere nere; gli attivisti sciamavano per casa, Jean Seberg li finanziava (200 mila dollari mensili solo a Jakim), l’Fbi la sorvegliava, e tutto finì tragicamente. Il giovane Batka si rivelò presto un white dog, addestrato a attaccare i neri. Socievole e affettuoso, se appariva alla porta un nero, Batka si gettava, bava alla bocca, alla sua gola, piantava mascelle e artigli e non mollava la presa. Gary era devastato; non poteva tenerlo né abbandonarlo. Si mise in testa di “guarirlo” affidandolo a tal Jack Carruthers, che gestiva uno zoo per animali attori; Keys, un giovane impiegato (nero) fu incaricato del lavaggio del cervello. Gary partì il più lontano possibile, e scrisse (era il 1970) quello che forse è il suo capolavoro, Cane bianco. A Parigi, nell’Ottocento, per protesta contro il veloce mondo industriale, i dandies passeggiavano con una tartaruga al guinzaglio. Per dandismo, Baudelaire scrisse che i democratici non potevano amare i gatti, perché sono belli e suscitano idee di lusso, pulizia, voluttà. Ai gatti dedicò poesie piene di “e” (« Les amoureux fervents et les savants austères / Aiment également…/ Les chats »), sicché nel 1969 Georges Perec – che in foto col suo inestricabile gatto è finito pure sui francobolli – si è cimentato a tradurlo senza quella vocale, è il gioco del suo romanzo senza “e” La Disparition: « Amants brûlants d’amour, Savants aux pouls glaciaux / Nous aimons tout autant…/ Nos chats ».
Léautaud, il grande diarista, in tenuta da mendicante, incipriato e con l’aria di non essersi mai lavato, aveva raccolto, nella vita, più di 300 gatti e 125 cani abbandonati. Nel 1922, un suo articolo sui gatti era così “delizioso” che Proust mise in bilancio il godimento, scrisse a un conoscente, «di avere dei gattini, così carini! e l’orrore di farli svenire in una camera in cui brucia costantemente la polvere antiasmatica». La cameriera Céleste fremeva al solo pensiero di avere, «in una stanza che non poteva mai lavare perché non mi alzo mai, degli animali che fanno la pipì». Per consolarsi Proust si propose di procurarsi i Dialoghi di Colette: «ho pianto».
A Roma, dove si giravano film dai suoi romanzi, ricordano Colette, viso triangolare canaille, avvoltolata in camerino tra le pellicce e percorsa, tra le ginocchia, tra le braccia, e persino sulla testa, da tutti i gatti del vicinato. Li richiamava a sé, non si sa come; sembrava che di giardino in giardino i gatti romani si passassero parola e convenissero ai festini che, mandando a comperare chili e chili di polmone ai macellai romani, la scrittrice francese offriva festosamente alla gatteria romana. Sciascia aveva un maestro elementare dai polmoni devastati dalla Grande Guerra, ogni spiffero era una coltellata. Se un allievo lasciava la porta aperta, diceva: «A Parigi, i cani chiudono la porta con la coda». Sciascia riaccostava perplesso; il piccolo giallo lo risolse, molti anni dopo, Piovene. Era la cagnetta di Crommelynk, il drammaturgo belga, che rientrando da una passeggiata si era alzata sulle zampe di dietro, aveva girato la maniglia, e era entrata. «Chiudi la porta», ordinava Crommelynk; lei obbediva, con la coda. Crommelynk, per non farsi capire, cominciò a parlare in inglese.