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 2020  settembre 16 Mercoledì calendario

Tatuaggi, muscoli e ferocia

Perdonatemi se scrivo da contadino, o da cronista con pochi mezzi. Sono più pronto a raccontare a voce i fatti, i luoghi, che a scriverne. Anche perché patisco e soffro l’ordine della scrittura rispetto alla gravità, al non riassumibile. Non ho letto nulla, se non buttandoci un occhio, circa la morte di Willy che si chiamava come un mio antichissimo amico stroncato dall’eroina. Non ho voluto leggere niente perché so tutto.
Quando da ragazzino passavo sotto Artena (ex Montefortino, roccaforte volsca), la zia zoppa rimasta illibata diceva: «Qui piantano i fagioli e nascono i briganti». Non ci credevo, perché il paese a forma “perfetta”, aveva gli asini che salivano fino in cima; e le case ammonticchiate a presepe. Eppure, il territorio che lascia la repubblicana Velletri e giunge a Lariano e Artena e poi sale su Valmontone, mentre a destra punta Colleferro; con Paliano che aveva Castello e carcere, dove si devia prima di arrivare sugli Altipiani di Arcinazzo: autoesilio del generale Graziani, è stato da sempre confine, macchia di leopardo, territorio segmentato tra i Castelli Romani e l’Anagni di Bonifacio VIII e di Innocenzo III nato sui pendii della Carpinetana, con Segni a destra e Gavignano a sinistra. Chi sale sul cucuzzolo di Artena e s’affaccia al balcone della trattoria di Chiocchiò, riconosce bene il castello di Paliano, l’antica e nobile Palestrina e, oltre, viene a sapere che si giunge al santuario della Mentorella, dove papa Wojtyla si recava a pregare la Madonna «scura di pelle». Anche non distante da Valmontone i nonni dei nonni di questa mappa geografica, andavano a Genazzano in viaggio di nozze inginocchiandosi ai piedi della Madonna del Buon Consiglio. E, cosa curiosa, Willy l’hanno ucciso saltandogli sul corpo come fanno nella pubblicità dei materassi, tra il 5 e il 6 settembre, proprio quando si festeggia la Madonna della Carità.
E per restare nel nome della Madre e del Femminile, lo stupro di Pisticci, non lontano da Matera, ricorda il Carro della distruzione che, a sua volta, rimanda a un possibile stupro di contadinella bruna a opera dei saraceni. Non a caso nella festa di Matera, si ricordano Le due Brune (una Madonna e una stuprata). Così quel giorno di processione, in estate, il Carro dell’oltraggio viene assaltato dalla folla e ridotto a brandelli usati come sfregi sacri.
Nei primi Sessanta Colleferro viveva il suo boom. Aveva la Snia. E sulla Roma-Napoli era raggiunta dagli stessi pariolini romani che andavano al Penny a Frascati, mentre qui frequentavano il Living. Artena aveva La stalla, e ci si scazzottava. Niente di più. I feroci, eredi del sangue brutale dei volsci, come Laudovino De Sanctis, erano già a Roma. Gente da Ferocia reale, animale, non certo giustificabile, ma non esemplari come i fratelli Bianchi, che non sono gemelli ma che gemelli di ferocia perversa sono. Ecco, la trasformazione lenta e inesorabile di questi luoghi: da ferocia reale, a ferocia perversa. Bandiamo per sempre lo slogan della: mutazione antropologica. A vederli, i Bianchi, sono tatuati come il territorio che si sono illusi di dominare. Ho notato pose senza fisicità. Senza sensualità. Del resto chi (e non parlo solo degli indagati) passa il tempo in palestra, a pestare il prossimo, a sbronzarsi, quando fa l’amore? Per farlo serve tempo, abnegazione, vera potenza, non muscoli gonfi. Altrimenti ci si riduce alla virtualità o agli scampoli onanistici e frettolosi. Quindi: non si fa con l’altra o con l’amato; ma da soli. Chiusi nel proprio narcisismo esibizionistico.
I loro corpi sono timbrati da tatuaggi come le strade di queste città spaccate che squarciano pneumatici con mille rotonde che fanno perdere la bussola anche ai marinai genovesi. Io sono stato a scuola con il suocero di uno dei due indagati. Sua figlia è incinta di un “gemello”. Il padre di lei ha pianto e si è scusato in Consiglio comunale. Pareva il pianto sincero di un padre che ha fallito. Ma in realtà questa fragilità morale non riguarda solo Colleferro, Artena; questa sorta di cuscinetto tra Roma e gli ex borboni.
L’inabissarsi morale riguarda l’Italia (non mi avventuro nel mondo). Tutti noi siamo colpevoli, come ha detto un ristoratore di Colleferro. Noi abbiamo concesso una ridicola libertà abolendo la disciplina, il dovere, la gerarchia. La scuola è polverizzara da decenni. Accumula carte e banchi. Ma nessun docente chiede il nome e il cognome dello studente. Nessuno ricorda che la prima lezione va fatta sull’importanza del proprio nome, sul luogo da dove si proviene. Tutti noi siamo orfani, nessuno è più padre. Ecco che allora i Bianchi di turno hanno una prateria di tatuaggi dove cavalcare: cioè uno spazio senza confini. In altre parole: senza legge. Accennavo alla «ferocia della realtà». I nostri padri e nonni, immortalati dal neorealismo dovevano scontrarsi, dovevano combattere. E combattevano per la legge del padre, faccia a faccia. Ora non più. Basta il narcisismo isterico, i muscoli senza lavoro, l’oro come metallo che scintilla e non come oggetto sacro, eredità degli avi, scambio di fedeltà, sacrificio dei muratori dei cinquanta per comprare uno Zenit o un Longines al figliolo il giorno della cresima. Nessuno di questi che ballano sui corpi sanno che l’oro è degli imperatori. Il loro è falso.
Dunque basta affibbiare la ferocia perversa al razzismo, eccetera eccetera. Per paradosso il Paese al mondo, l’Italia, dalle mille capitali, dai mille palazzi, da chi sapeva fare scarpe a opera d’arte, tavoli e sedie a opera d’arte, ringhiere e letti di ferro a opera d’arte; questo nostro Paese è ancora l’unico al mondo che può ricondurre alla legge, ristabilendo l’onore del nome, recuperando il sacrificio, la disciplina, la rinuncia.
Non sono i film criminali che spingono all’emulazione. È l’assenza che lo fa. Tocca tornare come i ragazzini poveri sotto i bombardamenti di Vicenza in Il cielo è rosso di Giuseppe Berto. Tocca che le antologie scolastiche ricordino che tutti i grandi scrittori italiani sono partiti dai paesi, dalla provincia. Ecco, noi dobbiamo abbandonare la prateria nichilista e tornare al lavoro, dove siamo campioni. Non voglio usare la ghigliottina, che resta un gioiello perfetto; la Vedova, inventata per liberare gli uomini dalle antiche schiavitù. Eppure, simbolicamente, essa è l’oggetto più attuale. Almeno per tagliare la testa ai fatui diritti e ripristinare i doveri.