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 2020  settembre 16 Mercoledì calendario

I segreti di Biden nella sua Wilmington

WILMINGTON (DELAWARE) — «Non siamo mai stati il cuore di una campagna presidenziale. Contiamo poco, abbiamo meno di un milione di abitanti e solo tre grandi elettori. Ma ora è come se per la Casa Bianca corresse un parente. Tutti tifano Joe. Tutti hanno una storia su Biden». James Portsmith, pensionato di 79 anni, porta la sua letteralmente in tasca. Estrae il cellulare e mostra un video dove il nipote Jack, 11 anni, scherza con l’ex vice di Barack Obama incontrato per caso: «È di due anni fa» ti saluta, dandoti le ultime indicazioni stradali. Mister Biden è in casa. Lo si capisce dai Suv – tutti neri, tutti con uomini in giacca e cravatta all’interno – parcheggiati sotto gli alberi al 1209 di Barely Mill Road. La strada di campagna che porta fino alla villa sul lago disegnata dallo stesso candidato democratico alla Casa Bianca, dopo aver acquistato per 350mila dollari, nel 1996, il terreno nell’area esclusiva di Greenville. Sì, il sobborgo benestante di quella Wilmington dove papà Joseph, venditore di auto, trasferì la famiglia da Scranton, Pennsylvania, quando Joe aveva appena 10 anni.
È qui che il frontrunner dem torna ogni sera, pure se gli impegni lo portano lontano. A 77 anni, prende molto sul serio i rischi del coronavirus: e si è auto relegato in una sorta di bolla. Intorno a lui tutto viene meticolosamente disinfettato – il telefono, il posto in auto, i microfoni. Chi lo avvicina deve farsi prendere la temperatura e solo la moglie Jill può stargli intorno senza mascherina. All’opposto di Trump, ai suoi comizi assistono pochi sostenitori, costretti in spazi contrassegnati la cui distanza è calcolata al millimetro. Non dorme mai in albergo. Ma d’altronde già prima del virus la sua storia di “pendolare” della politica era famosa. Dopo l’incidente d’auto dove nel 1972 morirono la prima moglie Neilia e la figlioletta Naomi, per anni andò tutti i giorni in Senato prendendo il treno per Washington di primo mattina, rientrando in tempo per dare la buonanotte ai figli Beau e Hunter la sera. Tanto che poi alla stazione hanno dato il suo nome. E fra i suoi migliori amici c’è l’ex capotreno Lee Murphy, un repubblicano, che ai giornali ripete: «Qui vale la politica del bene comune, tutti parliamo con tutti: è lo stile bipartisan del Delaware».
Eccolo, dunque, il “bunker” dove Biden ha trascorso i mesi più duri del virus, facendo campagna dal seminterrato trasformato in studio tv. Un cottage in stile coloniale con 6 camere da letto, 7 bagni, 5 caminetti e 2 ettari di terreno. «Prima del virus veniva a fare la spesa con la moglie Jill. Ama il gelato, preferisce il Jeni’s ice cream cioccolato e vaniglia», racconta Liz, 41 anni, commessa da Janssen’s, il minimarket a cinque minuti dalla casa, proprio alle spalle di St. Joseph on the Brandywine. La chiesa gialla è chiusa per colpa del virus. «Il vicepresidente segue la messa che trasmettiamo online per i parrocchiani» dice padre Joseph Rebman, dalla finestra del rettorato. «L’abbiamo riaperta eccezionalmente per la cresima della nipote. Pochi intimi e a distanza. Ma viene spesso ugualmente: nel piccolo cimitero è sepolto il figlio Beau».
Nel 1802 proprio a Wilmington il francese Eleuthère DuPont costruì una fabbrica di polvere da sparo, ponendo le basi di quel colosso industriale DuPont che inventò nylon e teflon. Ancora oggi è sede di industrie chimiche e farmaceutiche come AstraZeneca, impegnata nella ricerca del vaccino anti Covid. Ma sotto i riflettori, la città c’è finita per caso. Col virus a impedire il normale svolgimento della convention dem a Milwaukee, è qui, dalla DuPont High School, che Biden ha accettato la nomination. Mentre dalla lobby dello storico Hotel DuPont ha annunciato la scelta di Kamala Harris come running- mate. «Spero aiuti a rilanciare la nostra economia in declino» dice al Delaware State News l’ex sindaco afroamericano Dennis Williams. «Se eletto potrebbe trasformare la casa di Barely Mill o la villa al mare di Rehoboth Beach, in una sorta di Casa Bianca estiva, come il ranch di Bush a Crawford, in Texas, o la Mar-a-Lago di Trump in Florida».
Ce ne sarebbe bisogno, nella cittadina di appena 70mila abitanti, 78esima più pericolosa d’America. Nettamente divisa fra i super ricchi dei sobborghi e i poveri (il 69 per cento) di downtown. «Nel 1962, nel pieno delle lotte per i diritti civili, fu l’unico bagnino bianco della piscina Prices Run, nel quartiere nero di Brown-Burton Winchester. Nessuno lo dimentica» dice Judith Baseden, cameriera al Characoal Pit, il diner famoso per i suoi hamburger, dove trascinò pure Barack Obama. Naturalmente, anche lei ha un aneddoto su Joe: «A 12 anni, nel 1976, trovai un cane. Scoprii che era suo. Chiamai l’ufficio, senza sapere cosa fosse un senatore. Giorni dopo arrivò una lettera di ringraziamento con una foto autografata di Biden. La ricompensa, ammetto, all’epoca mi deluse: ero una ragazzina. Ma oggi quella foto è incorniciata, in bella vista, all’ingresso di casa mia».