Huffington Post, 15 settembre 2020
Intervista a Sandro Veronesi sulle elezioni in Toscana
“Anche in Toscana permane ancora lo spiritello italiano che cent’anni fa ha dato corpo al fascismo”. Lo scrittore toscano due volte Premio Strega, Sandro Veronesi, parla con HuffPost delle sorti politiche della sua regione natia, che tra pochi giorni andrà al voto per scegliere il nuovo governatore. L’autore de Il colibrì era convinto che “non si sarebbe mai tornati indietro” da una situazione in cui di fascismo “non si poteva neppure pronunciare la parola”, ma evidentemente “sottovalutavo questo fuocherello” e così oggi si rischia che la candidata leghista del centrodestra, Susanna Ceccardi, abbia la meglio su Eugenio Giani”.
Partiamo da un passo indietro. In una precedente intervista al nostro giornale lei aveva accennato a una cultura imprenditoriale, negli anni del boom economico degli anni Sessanta, dedita all’evasione fiscale. Accadeva anche in Toscana…
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A quel tempo il discorso dell’evasione era incoraggiato dallo Stato che non perseguiva gli evasori. C’era una specie di tacito accordo per il quale approfittavano un po’ tutti i lavoratori indipendenti, che però poi davano lavoro e aumentavano la ricchezza del Paese, che in un decennio è cresciuta in maniera prodigiosa.
Che colore politico avevano quei signori, erano di destra, come il sentito dire suggerirebbe?
No. Di destra erano solo certi grandi “padroni”. Molti in realtà erano comunisti. Molti piccoli imprenditori pratesi che io ho conosciuto, quelli che facevano il conto terzi ad esempio, e lavoravano quindi ore al giorno, e guadagnavano un sacco di soldi, votavano PCI, militavano.
Scusi, e adesso i loro figli e nipoti votano Salvini?
Da un po’ di tempo è partita una rumba che ha risvegliato l’istinto fascistoide che in realtà è di serie nella piccola borghesia italiana, rimasto nascosto nei tinelli, mimetizzato, ma persistente. In Toscana e dappertutto. In sostanza, sopravvive quello spiritello che cent’anni fa ha dato corpo a una delle pagine più tragiche della nostra storia, un fuoco che dopo la seconda guerra mondiale era stato soffocato da un patto politico che non gli lasciava spazio. Anche politica estera, intendo: gli Stati Uniti, l’Europa, ci aiutavano, ma a patto che di fascismo non se ne parlasse più. La parola stessa non era utilizzabile, ma nessuno faceva accordi con movimenti che, pur senza utilizzarla, si riferissero a quell’esperienza politica.
Oggi invece?
Oggi questo fuocherello è stato riattizzato – e non c’è bisogno di particolari qualità politiche per soffiare su quella fiamma. La situazione che si è generata è molto confusa e contraddittoria, per cui adesso chi dieci anni fa inneggiava a che il Vesuvio coprisse di lava gli abitanti del Sud oggi miete successi proprio al sud, e non si vede contestata questa incoerenza.
Perché accade?
Perché quel fuoco è una tentazione molto forte per una parte degli italiani, molto più che andare a vedere chi è che lo sta riattizzando. C’è ben poco da apprezzare in questo consenso nei confronti di chi fino a poco tempo fa ti voleva morto e che ora dice di battersi per te.
Quindi lei sta dicendo che prima della Toscana rossa esisteva una Toscana ‘nostalgica’ della camicia nera?
Sto pensando che evidentemente sì, che molti dei comunisti lo erano solo per opportunismo.
Una frase un po’ forte, non crede?
Attenzione, il PCI ha fatto del bene, in Toscana. Per esempio mio padre, che era ingegnere del Comune e non era comunista, anzi, era liberale, lavorava con il PCI che governava da solo, e insieme a quelle giunte rosse ha fatto le città, i ponti, le scuole, tutto. Tuttavia, quando venivano dati gli appalti il fatto che si fosse o non si fosse comunisti contava, e questo orientava molti verso il partito di maggioranza assoluta, per ragioni che evidentemente non erano profonde.
Quindi cos’è stata la cultura di sinistra in Toscana, se volessimo spiegarla?
Per una buona parte è stata l’anima democratica che ha fatto prosperare questa regione. Per un’altra parte era solo tradizione, come il tifo per squadra del cuore, una cosa trasmessa in famiglia, senza però che si trasmettesse anche la coscienza profondamente antifascista che l’aveva generata. E per un’altra parte, evidentemente, era opportunismo. Altrimenti non si sarebbe mai riacceso quel fuocherello di cui stiamo parlando. Io mi auguro che alla fine la Ceccardi non vinca, ma comunque i numeri di cui dispone dicono che nel pisano, da dove lei proviene, ma anche nelle altre province, escludendo forse solo Firenze e Prato, quella cultura esiste ed è forte. Lì molte persone che trent’anni fa erano comuniste, ora votano Lega.
Il New York Times nei giorni scorsi scriveva che negli Stati Uniti la nuova destra è filo-sindacale e fa sue istanze tipicamente democratiche: sta accadendo un fenomeno simile da noi o è un paragone che non regge?
Non solo in Toscana, ma un po’ dappertutto è successo così. Da un lato si è infiacchita e ingrigita la classe politica che dovrebbe interpretare i valori tradizionali della sinistra, e quindi anche quelli che riguardano le classi disagiate, svuotandosi del valore e del talento che aveva espresso nei decenni precedenti. Però dall’altro è vero che ci sono delle priorità che oggi nessuno accetta come tali e vengono rifiutate in nome di un populismo ottuso che avanza a suon di luoghi comuni e fake news. Nel senso, per esempio, che se io insisto con l’istanza ambientalista non vuol dire che non me ne frega nulla della gente che vive a Taranto e che rimane senza lavoro.
Cosa intende dire?
Che certi valori è difficile diffonderli tra le persone meno legate a una visione politica strutturata, e che quindi preferiscono un lavoro usurante, inquinante e cancerogeno piuttosto che affidarsi a una classe dirigente che non garantisce la capacità o il coraggio di produrre posti di lavoro più “puliti”. Esistono delle istanze tipiche della sinistra e che la sinistra in parte ancora accoglie, ma non sono per nulla popolari.
Può fare un esempio?
L’immigrazione. È evidente che essa sola può aiutarci a contrastare il declino demografico che, come sempre nella storia, precede quello economico e sociale. Ma niente: nemmeno le istanze umanitarie passano, nemmeno le persone che stanno affogando sono accettate come esseri umani da salvare. Come mai molte delle fasce svantaggiate, che dovrebbero accogliere con entusiasmo queste istanze perché potrebbero essere applicate anche a loro, preferiscono credere alla balla dell’invasione islamica?
Ce lo dica lei.
Un tempo la classe operaia dialogava con gli intellettuali, si interessava di quello che gli intellettuali dicevano, e la classe politica pure. Adesso no e passa il messaggio che gli intellettuali parlano di immigrazione come se fosse uno sfizio di milionari distaccati dalle necessità del Paese.
E non è così?
Niente affatto.Come dicevo, la prima necessità del paese è risalire con la curva demografica, altrimenti siamo finiti. L’unico modo per farlo è accettare e regolare senza pregiudizi razziali l’immigrazione che dall’Africa e dall’Asia tende a spostarsi in Europa. C’è una quota considerevole di immigrati che noi in Italia potremmo assorbire con grande profitto, ridando vita ai borghi semi-abbandonati per via dell’emigrazione interna, ai paesi-fantasma sugli Appennini o sulle Prealpi, o nel meridione. C’è posto eccome, ci sono tante attività che possono essere rilanciate dall’accoglienza, ma si deve investire, servono leggi, diritti, infrastrutture, e noi siamo ancora alle prese con i decreti Sicurezza di Salvini, intatti.
Nel centrosinistra, di chi sono le colpe?
C’è stato un errore clamoroso della base, che ha perso orientamento umanitario e socialista, e dei vertici, che hanno perso di vista l’unità di intenti che c’era tra l’idea di progresso e l’idea di difesa dei deboli. Più debole di uno che sta affogando in mezzo al mare c’è solo lui stesso tra un quarto d’ora, quando sarà morto. È chi dice ‘ma non è italiano’, e per questo vuol lasciarlo affogare, è lui a non meritarsi d’essere chiamato italiano.
La crisi economica, aggravata dalla pandemia, ha pesato su chi da sinistra ora voterebbe a destra?
Una buona parte dell’elettorato di sinistra ha ragioni da vendere a lamentarsi delle politiche balbettanti del Partito Democratico, ma questo non dà il diritto a nessuno di reinventarsi fascistoide e andare appresso a Salvini o alla Meloni. Anche se hai perso la pazienza, non è una buona ragione per credere nella Ceccardi e in quello che lei è. Se una popolazione che si è sempre proclamata socialista ora vota Lega, c’è qualcosa che non va.
Ma è pur vero che siamo nella stagione in cui gli Uffizi per rilanciarsi dopo l’emergenza Covid si sono affidati a Chiara Ferragni. Non è che forse il candidato a governatore scelto dal centrosinistra, Eugenio Giani, seppur di lunga esperienza, manca di forza comunicativa?
Un conto sono i social, un conto è la politica. Uno può anche non essere sexy come candidato, poi però può essere un buon amministratore. In ogni caso non ci si deve scandalizzare per Chiara Ferragni, perché alle volte colma dei vuoti e prende delle posizioni che io non vedo prendere dai vertici del Pd.
Ultima cosa: l’epoca del potere renziano in Toscana è finita?
Non lo so. Se per potere s’intende quella specie di lobby che condiziona il consenso con la capillarità territoriale, se mai Renzi l’ha avuto, mi sembra che non l’abbia più. Io l’ultimo potere di questo tipo che ho visto e di cui mi ricordo, in termini di truppe che seguono un leader e che controllano capillarmente il territorio per suo conto, è stato quello di Massimo D’Alema. Tra quest’ultimo e Renzi c’è stato un bel conflitto, molto spigoloso, ma alla fine non credo che Renzi sia riuscito a sostituire quella rete con la sua, perché D’Alema aveva un potere che proveniva direttamente dalla gestione delle sezioni del PCI, e Renzi no.