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 2020  settembre 15 Martedì calendario

Thiem piacerebbe a Bassani

Mi è parso di trovarmi – nel vedere la finale degli Us Open tra Thiem e Zverev – davanti a un match tra tennisti di due epoche diverse, una fatta di gesti rotondi, e l’altra di gesti avari, usando solo ciò che serviva a colpire la pallina e niente di più. Quello che Giuan Brera, vedendo per la prima volta Kramer, dichiarò: «Ma è simile al ping pong». Quest’ultimo è il gioco di Sasha Zverev, nato e cresciuto per diventare un tennista contemporaneo, figlio di un maestro e di una vita programmata sin dai giorni della nascita. L’altro, Thiem, ora vincitore del suo primo Slam in carriera, mi ricordava i tennisti dei miei tempi degli anni Cinquanta, quando il tennis era diverso da quello di oggi, forse più bello da vedere, che piaceva a Giorgio Bassani e si giocava nel parco dei nobili Finzi-Contini. Era impossibile che prevalesse Thiem con i suoi gesti tondi, infatti era Zverev ad andare in testa e far sembrare il match già finito quando, mancante di un solo step dopo il 6-2 6-4 iniziale, ecco che la finale appariva viva all’inizio del terzo set e, se io fossi dalla parte di un tennista dei miei tempi, esclamerei “ça va sans dire”. Immaginavo infatti cominciasse una partita nuova tra un contemporaneo e un altro tipo degli anni Cinquanta che aveva un diritto tagliato, a tratti palleggi di regolarità e che ha finito per prevalere quando in Italia erano passate le due di notte. Alla fine anche Wilander ha concesso: «Peccato che in casi simili non esista il pareggio».