la Repubblica, 15 settembre 2020
Intervista alla Nobel Olga Tokarczuk
Ci salverà dall’odio, dalla xenofobia, dalla caccia al diverso e anche dalla troppa fretta con cui viviamo, la capacità di raccontare il mondo e noi stessi, ma prima di tutto un ripensamento radicale del nostro modo di stare sul pianeta Terra. Olga Tokarczuk, Nobel per la letteratura, arriva a Pordenone per ritirare il premio Crédit Agricole Friuladria conferitole per i suoi romanzi «fuori dalle regole, brillanti e sorprendenti e per averci insegnato che il cambiamento è sempre più nobile della stabilità». E concede questa intervista a Repubblica .
Partiamo dal suo romanzo Nella quiete del tempo, che esce nella nuova edizione italiana, in cui si trovano quasi tutti i temi dei suoi libri. E in cui crea un universo mitologico per raccontare l’arbitrarietà delle nostre sorti, la sensualità delle donne che rifiutano di essere vittime, e per dire che gli umani e Dio fanno parte della natura e non ne sono i padroni. Con una grande attenzione agli oggetti inanimati. A un certo punto narra il mondo racchiuso in un cassetto: fotografie, una pietra, un coltello a scatto, un termometro, un coltellino, una medaglietta con la Madonna.
Cosa rappresentano gli oggetti?
«Sono sia la nostra memoria esterna che la risposta della materia ai nostri bisogni. Questo doppio ruolo li rende simili ad amici per noi. Di recente ho saputo una cosa che mi ha scioccato. Ci sono aziende specializzate nel rilevare gli appartamenti di persone morte, senza parenti. Ripuliscono le case da mobili e oggetti, che vanno a finire ai mercatini delle pulci. È interessante: gli oggetti possano continuare a vivere senza le persone mentre le persone probabilmente non potrebbero vivere senza gli oggetti. Prestiamo loro poca attenzione, anche se sono testimoni del passare del tempo».
Nel discorso per il Nobel ha detto che il mondo è fatto di parole. Siamo quello che ci raccontiamo. Come parleremo allora di questi mesi della pandemia quando l’Altro era una minaccia, quando non potevamo toccare né abbracciare i nostri simili?
«Forse il ricordo di questo tempo avrà le conseguenze più marcate sui giovani. La pandemia ha causato la separazione dei ragazzi l’uno dall’altro in un’età in cui normalmente si socializza. Per un adolescente, vivere tra i coetanei è un profondo bisogno psicologico e di sviluppo. Non so come si tradurrà tutto questo nelle loro vite, atteggiamenti e abitudini, ma penso che quando sono state chiuse le scuole ed è stato proibito loro di uscire di casa, i giovani si siano sentiti molto soli. E immagino che ne parleranno un po’ come la mia generazione ha parlato della legge marziale in Polonia, nel 1981. Per noi anziani invece, oberati dal lavoro e perennemente indaffarati, e che abbiamo sempre vissuto in un mondo ipertrofico, in un mondo “troppo tutto”, la pandemia ha suggerito semplicemente: fermati. Quando Greta Thunberg chiese di smettere di volare con gli aerei, di rallentare l’economia, tutti dissero che era impossibile. Poi la pandemia ha fatto proprio questo».
Però ha causato anche chiusura di aziende, disoccupazione, povertà...
«Ha mostrato che alcune cose considerate impossibili sono diventate possibili. E questo riguarda sia quelle chiaramente sfavorevoli agli umani (il fermo dell’economia e di conseguenza: disoccupazione, recessione) che quelle benefiche (la riduzione dello smog e il rallentamento dei ritmi della vita e la paradossale diminuzione della mortalità). Il guaio è che tendiamo a giudicare tutto subito e a esprimere le nostre opinioni senza riflettere. Però il mondo è più complesso. Sono convinta che la pandemia ci indurrà a trovare nuove soluzioni, nuovi pensieri e nuove azioni. Sta già accadendo e così, paradossalmente, la pandemia potrebbe essere un’opportunità».
Intanto in Polonia il governo di destra vorrebbe ritirare il paese dalla convenzione di Istanbul sulla prevenzione della violenza nei confronti delle donne. Quale narrazione possiamo opporre alla visione del mondo populista e nazionalista?
«Come dicevo, il mondo è diventato molto complesso, non intellegibile nel suo insieme. Così, ci siamo chiusi nelle nostre bolle in Rete, nelle materie di cui siamo esperti, nei mestieri e interessi particolari. Nessuno ha più accesso alla totalità dell’esperienza. In questo senso abbiamo subìto un processo di proletarizzazione: come quando un artigiano che sapeva produrre, ad esempio, scarpe, finiva in una fabbrica dove produceva solo una parte di una scarpa e perdeva il suo sapere. Questa situazione risveglia le paure della gente. I conservatori sono convinti che basta tornare ai modi di vivere di una volta e tutto andrà meglio. Le donne torneranno in cucina, il prete si prenderà cura della coscienza. Con il tocco di una bacchetta magica, il mondo sarà riparato. Ovviamente tutto questo non ha senso, non si torna indietro. Penso che ci manchi una nuova narrazione sul mondo nella sua interezza e nel suo complessissimo sistema di interdipendenze, in grado di cambiare la nostra coscienza per prepararci alle novità che verranno. Intendo un racconto universale, capace di raggiungere tutti».
Lei si sente sicura in Polonia?
«Non come una volta. L’isteria e l’odio, cinicamente scatenati dal partito Diritto e Giustizia (Pis) e da una parte della Chiesa cattolica nei confronti delle persone Lgbt, della sinistra e di quella che loro chiamano “la civiltà della morte” autorizzano in un certo modo, camuffato, non ufficiale, l’uso della violenza. Alcuni fra i miei conoscenti gay temono di uscire per strada e hanno deciso di lasciare il paese. Non ci si sente più protetti dalla legge. Temo che i prossimi potrebbero essere gli ucraini che lavorano in Polonia (sono tanti). Quando inizierà la recessione e la disoccupazione, sarà conveniente indirizzare l’odio verso di loro».
Come è cambiata la sua vita da quando ha vinto il Nobel? Szymborska parlava della “catastrofe di Stoccolma”.
«Wislawa Szymborska aveva ragione: è una catastrofe. Quello che mi disturba di più è che sono diventata una figura pubblica e riconosciuta. È una cosa che mi toglie un bel po’ di libertà. E che porta molte nuove responsabilità. Ma pian piano riuscirò a far fronte a questa situazione. Intanto sono contenta di essere tornata a scrivere».