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 2020  settembre 15 Martedì calendario

Il suicidio di Dominque Kalifa

Gentilezza, erudizione. E un’uscita di scena degna del personaggio. Sabato, giorno del suo 63esimo compleanno, su Twitter aveva scritto un misterioso e inquietante «arrivederci». Solo due giorni fa i colleghi storici ne hanno annunciato la scomparsa, con lo stupore di chi aveva provato a contattarlo al telefono senza successo. Un mistero. Un giallo che circonda uno dei massimi esperti della materia.
Dominque Kalifa era già morto. Si è tolto la vita. Un suicido inspiegabile che allarga gli orizzonti di quel senso della pedagogia che per generazioni aveva funzionato a meraviglia nella Parigi delle accademie, che lui aveva già parzialmente stravolto. La sua «fine» alimenta domande attorno a questa figura: storico rispettato, volto tv, analista e sociologo. Decine di libri su criminalità e galere, fino all’erotismo spicciolo della Ville Lumière alla ricerca dei lati oscuri della Belle époque.
I successi mediatici e gli osanna non sono stati sufficienti. Il suicidio è un irrisolto. Oltre che una perdita per l’Università Parigi I Panthéon-Sorbonne, dove dirigeva il centro di Storia del XIX secolo. Già, perché Kalifa era anzitutto uno storico apprezzato dalla comunità accademica: in Italia è stato ospite tra il 2014 e il 2018 presso il Centro Interuniversitario di Storia Culturale di Padova. Energia, entusiasmo contagioso, carisma. La passione per il rock e un’insaziabile curiosità lo avevano portato a indagare senza snobismo né sufficienza anche la sfera della trasgressione. Da quella newyorkese agli «slums» vittoriani, humus di degrado e sfruttamento. Peccato che i suoi libri manchino di traduzioni italiane. Da quelli incentrati su vizi, crimine e povertà, agli affreschi curati con lo sguardo di un orologiaio di una Parigi segreta, fatta di viaggi e passeggiate notturne, stanze d’albergo dove si incontrano coppie adultere, porte girevoli e «viali delle vedove» diventati col tempo luoghi di galanti rendez-vous. Cosa spinge un uomo a dichiararsi sulle rive della Senna o una coppia a baciarsi nella piazza dell’Hôtel-de-Ville? Lui non lo sapeva veramente, ma conosceva il contorno e provava a rispondere con ciò che stimola le azioni di uomini e donne; l’ambiente circostante, la società, il periodo storico. Dai bassifondi della società ai criminali, dagli investigatori privati fino alle notizie, Kalifa non ha pubblicato «solo» testi accademici. Amava i giornali, la carta, il flusso di notizie. Leggendolo su Libération, con cui ha collaborato per trent’anni, o sentendolo in radio, non prolungava semplicemente il piacere insito nella narrativa di genere, rendeva possibile la comprensione di certe azioni, delle paure di un’epoca attraverso il metodo dell’antropologia storica.
Da analista della cultura di massa del secolo scorso, a quella civiltà ottocentesca fatta di vizi e virtù, si era particolarmente concentrato sulla Belle époque, che Kalifa colloca negli Anni ’30. Oggi, diceva, nessuno oserebbe evocare quel periodo per come si svolgevano davvero le cose. Per lui, che ne ha scovato il lato noir, la Belle époque non è quella che si vede al cinema. Lascia colleghi, amici, allievi. E un immenso lavoro di storico degli ultimi. Trent’anni in prima fila e una sola parola per andarsene: «Au revoir», arrivederci.