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 2020  settembre 15 Martedì calendario

Patty Pravo ricorda la notte del ’68 con Jimi Hendrix

Jimi Hendrix e Patty Pravo, si incontrarono al Piper una notte di primavera del 1968 e legarono subito. Nacque un’amicizia che durò fino alla morte del leggendario chitarrista, rivela ora Nicoletta. Con la sua vita spericolata, Patty ha accumulato una quantità di ricordi che inevitabilmente sfumano e si perdono nei particolari ma non nella sostanza: «Ho incontrato Jimi due o tre giorni prima che morisse, a Londra, in un bar sotto l’albergo dove viveva in quel periodo, a Notting Hill: mi disse che era un albergo fatto di appartamenti». Era il Samarkand Hotel: lui stava al ben più elegante Cumberland di Kensington, ma quella era l’abitazione della sua ragazza del momento, Monika Dannemann, che era con lui nelle ultime ora di vita, la notte fra il 17 e il 18 settembre 1970. «Quel pomeriggio - ricorda Patty - si sfogò un po’ con me. Si lagnava, anzi. Mi disse che era stufo della musica che faceva, e annoiato di fare il fenomeno: gli chiedevano sempre tutti di dar fuoco alla chitarra, o di suonare la sua Fender con l’asta del microfono o i denti». Come aveva fatto per la prima volta al Festival di Monterey nel 1967, quando la sua popolarità esplose.
Patty ricorda benissimo che Hendrix già pensava un nuovo progetto: «Aveva in mente di lavorare con una grande orchestra, e cimentarsi con un’altra musica. Qualche giorno dopo ho saputo che non c’era più».
Ma l’aneddoto più divertente riguarda la sera che i due si conobbero. Il 25 maggio la star di Seattle si era esibita al Brancaccio, poi lo avevano accompagnato al Piper che era il locale più alla moda. Sui sofà della zona riservata, spiccava la bellezza splendente di Nicoletta Strambelli; Jimi si sedette accanto a lei e al batterista Alberto Marozzi: «Un grande piperino di sempre - annota Patty - e l’unico fra noi che possedeva una 500, bianca. Jimi dopo un po’ chiede di uscire per Roma, e vederne la bellezza. Alberto guida, io sono al suo fianco, dietro Hendrix cercava di trovare una posizione per le sue gambe lunghe».
«E via, tutta le notte in giro per mostrargli Roma. Ma ci accorgiamo che è pieno di posti di blocco. Stanno cercando Vallanzasca, ci diranno poi i vigili». Succede che, appena messa in moto l’auto, Jimi accende uno spinello enorme: «Ci sono i finestrini aperti, un po’ ci passiamo questo cannone, e intorno all’auto si alza un alone di fumo bianco: ma così denso che alcuni vigili in pattuglia lo notano e ci fermano. Apro la portiera e mi affaccio, chiedo subito: "E’ successo qualcosa?". Per fortuna, riconoscono me e non lui, e ci lasciano andare. E noi proseguiamo la nostra gita per Roma: verso le 5 del mattino ci siamo fermati in un bar a mangiare un cornetto. Da allora ci siamo visti alcune altre volte, sempre in qualche bar: ricordo anche un pomeriggio a Parigi, a chiacchierare di musica e sogni».
Lei lo ha mai visto alterato? «Non è che si facesse così pesantemente, credo. Non ho mai visto nei suoi comportamenti nulla di eclatante, mi è sempre sembrato uno normalissimo. Era una persona dolce, aveva il suo ego normale essendo nel pieno del successo».
E lei com’era, Patty, nel 1968? «Anch’io nel pieno del successo. Era il momento della Bambola. Ero bella aggressiva, ero curiosa, con un carattere positivo e molto sorridente per fortuna, grazie a una nonna favolosa. Venivo dal conservatorio ed ero abbastanza stronza. Con la mia conoscenza musicale mettevo tutti a posto, è chiaro fossi piena di me».
C’è stato un flirt, con Hendrix? «Stavo con Gordon Faggetter, batterista, che purtroppo da tre settimane non c’è più. Ero innamoratissima, eravamo insieme dal ’65. E no, non l’ho mollato per Jimi, c’era molta simpatia ma non è successo nulla. Volevo andare a sentirlo nel ‘70 all’Isola di Wight, ma avevo troppi impegni».