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 2020  settembre 15 Martedì calendario

Intervista al direttore di Brera James Bradburne

Con il direttore di Brera James Bradburne, una tra le menti più vivaci in città, ci eravamo lasciati a gennaio parlando della Biblioteca Nazionale in penuria di addetti e del progetto della Grande Brera in stallo perenne. Problemi gravi e irrisolti, ma che alla luce della situazione globale sembrano assumere un altro peso. Ormai, dice, «navighiamo nella tempesta perfetta: il lockdown non è stata una cesura, una pausa, ma una perdita catastrofica. Di tempo, di denaro, di iniziative». Visto però che questo elegante anglo-canadese 65enni vede nell’ostinazione e nella progettualità le proprie caratteristiche migliori, è interessante farsi spiegare che cosa intenda per «un museo nuovo per un mondo nuovo».
Direttore, da dove si riparte?
«Da un cambio di mentalità: con la trasformazione da visitatori passivi del museo fisico a utenti complessivi, che il museo lo frequentano anche in modo digitale, approfittando di nuovi servizi e di modalità inaspettate. Il confinamento ha messo in luce le enormi potenzialità online di Brera. Non solo sul web possiamo consultare i cataloghi e scoprire le opere non esposte nelle sale. Ma di un quadro possiamo seguire il restauro, ricostruire la storia, ammirarne le riproduzioni ad altissima definizione, esplorarlo con gli infrarossi, ascoltare un esperto che ce lo illustra».
Eppure nulla può sostituire l’impatto fisico con l’opera.
«Certo, ma bisogna fare i conti con la realtà. Attualmente la capienza di Brera è ridotta di due terzi. Prepariamo un "Performing Raffaello" sugli allestimenti dello Sposalizio della Vergine, il 12 ottobre, e il 29 ottobre un Dialogo che affiancherà lo Sposalizio all’opera d’arte forse più preziosa della Cina, il rotolo di Zhang Zeduan Viaggio lungo il fiume durante il Qingming. Ma sa quante persone alla volta potranno entrare nella sala? Otto».
Mentre online il numero degli accessi è virtualmente infinito. E qual è il passaporto che trasforma i visitatori in cittadini di Brera?
«L’abbiamo chiamata Tessera Brera Plus+. Da oggi e fino a dicembre è gratuita. Dà diritto, con prenotazione, all’ingresso al museo reale, e anche a tutti i contenuti digitali del sito».
Ma dal primo gennaio?
«Si sta definendo una nuova concessione per i servizi museali, tra cui quello di biglietteria. Presumibilmente entrerà in funzione a gennaio e da quel momento l’ingresso tornerà a pagamento: ma non ci saranno aumenti rispetto al pre-pandemia».
Brera come una casa amata, in cui tornare più volte?
«Come diceva il mio amico Philippe Daverio, bisogna prendere esempio dalle biblioteche, dove non si va per leggere tutti i libri. Un pittore ha messo anni per completare un quadro e noi lo bruciamo in 25 secondi? Pensi alla meraviglia di vedere due, tre opere alla volta».
Il turismo è cambiato per sempre?
«Quello di massa era già condannato, vedi il disastro economico di certi musei americani come il Guggenheim, e il Covid ha dimostrato definitivamente come non fosse più sostenibile. Un turista da torpedone non considera la città che lo ospita come sua, e infatti butta la carta per strada. È questa la prospettiva che va cambiata: bisogna sentirsi cittadini, anche solo per tre giorni. Lo sa perché ho scelto Milano? Perché non era né Roma né Firenze né Venezia, ma una città destinata a un turismo di fiera, con la moda e il Salone del mobile: gente che torna tre o quattro volte l’anno, che si affeziona. Quelli, oltre ai visitatori di prossimità, sono i nostri interlocutori».
Deve aver sofferto in questi ultimi anni, con i grupponi in Galleria e le paninerie a ogni angolo di strada.
«Non credo sia quel che si meriti la città. E non posso pensare che l’unico destino dei ragazzi sia trasformarsi in camerieri oppure fuggire all’estero».
Che altro prevede per il futuro?
«La messa in crisi definitiva della governance culturale centralizzata, un sistema che non regge più. Mi trovo nella situazione di un direttore d’orchestra che si vede recapitare trenta suonatori di basso tuba. Che cosa me ne faccio, poniamo, di dieci bravi funzionari esperti in architettura se, per dire, devo potenziare il sito web di Brera? Ma i concorsi così funzionano: le esigenze locali non vengono assolutamente prese in considerazione».
Con le nuove nomine ministeriali, i direttori di musei italiani che come lei arrivano da altri Paesi sono ormai una rarità. Le fa effetto?
«Non entro nel merito delle nomine e delle qualità dei prescelti, ma certo non mi sembra un segnale d’impegno o di rinnovamento. Temo che si rischi di ripetere le sconfitte dei poli museali, iniziative piene di buone intenzioni, miseramente naufragate».