Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2020  settembre 14 Lunedì calendario

Biografia di Franco Morbidelli

Ha fatto la cosa giusta, come lo aveva ispirato Spike Lee con il suo film, quando era stato il momento di pensare con Aldo Drudi al casco speciale da indossare qui a Misano. Anzi, più che la cosa giusta, Franco Morbidelli ha fatto la cosa, o meglio, la corsa perfetta. In testa dalla prima curva con la M1 colorata Petronas e via solitario, dopo essersi scrollato di dosso «il forcone di Valentino», a caccia di quella che giro dopo giro è diventata la sua Gara, la prima vittoria in MotoGP che in questi anni ha costruito con un accanimento da formichina, un mattone dopo l’altro, a consolidare una base che ora è solidissima.

Grazie papà
«Ci pensavo gli ultimi giri, solo sette anni fa vincevo qui a Misano, ma era l’Italiano Superstock – racconta Franco —. La mia è stata una carriera molto corta ma ripida, e se è successo è grazie alla VR46, a mia mamma, a Francesca, la mia ragazza, e alla sua famiglia, a Manu (Lucchetti, l’amico con cui divide ogni trasferta; n.d.r.)». E soprattutto a papà Livio, che oggi lo guarda dall’alto ma quando era piccolo lo portò da Roma a Tavullia alla corte di Valentino Rossi, intuendo che ci fosse in lui qualcosa di speciale. «Questa va a mio padre. Mi ha dato una grande mano a essere forte e coriaceo» butta fuori Morbido con un filo di voce, mentre le parole per la commozione inciampano un po’ tra i denti.

Umiltà intelligente
Un passo dopo l’altro. «Se non sono stato tritato è per le persone al mio fianco, non ho mai avuto fretta e ho preso le opportunità al momento giusto. Ho sempre sognato di vincere una gara in MotoGP, ma non è mai stata un’ossessione». Una strada diversa, la sua, che dopo il 2° posto di Brno, primo podio, lo aveva portato a definirsi come «uno arrivato dalla serie B», “colpa” di quella umiltà, pacatezza e grande educazione che lo fanno apprezzare da tutti. Così, se guardando ai dati statistici gli si fa notare come sia il secondo pilota di sempre a vincere in MotoGP venendo dalla Superstock, come solo a Danilo Petrucci è riuscito al Mugello 2019, lui risponde con un bel «il talento lo trovi ovunque, in Superbike come nella Asia Talent Cup. La differenza la fa cercare quel che è meglio per te». Il suo meglio, oltre che nell’Academy e nel team Sky, con titolo Moto2 annesso, ora lo ha trovato in Petronas e in Ramon Forcada, l’ex capotecnico di Jorge Lorenzo e Maverick Viñales. «È un fenomeno, ha esperienza, sa di tecnica, è intelligente. Mi diverte lavorare con lui». 

Pensieri in libertà
Mentre il contagiri calava implacabile, a soffrire di più è stato chi era in tribuna o davanti alla televisione. «Guidavo fluido e costante, è stato bellissimo. Gli ultimi 10 giri sono stati una seduta psicologica, mi sono trovato a pensare di tutto, la cosa che trovava meno spazio nella testa era la pista. Però continuavo a girare forte e costante. Qualcuno voleva che questa volta toccasse a me». Dopo le qualifiche, per la vittoria tutti parlavano di Maverick Viñales e Fabio Quartararo, non di lui, che partiva 2° con un gran passo, pur avendo, delle quattro M1 in griglia, la meno evoluta. «Non mi interessano gli altri, sabato sono stati bravi, ma conta la gara e in gara ero io il più veloce». E adesso che ha vinto la prima, forse si smetterà di guardarlo quasi con sufficienza. «Preferisco essere tra i favoriti, piuttosto che l’underdog: vuol dire che ho acquistato forza. Vincere una gara fa la differenza, ti fa sentire orgoglioso, e io mi sento molto così. E felice. Non penso a cosa gli altri dicono di me, solo a fare la cosa giusta».

Quel filo con Lewis
Ha dimostrato di poter ambire all’élite del motociclismo e ora potrà permettersi anche di alzare di più la voce su temi sensibili, come ha già fatto con quel messaggio di uguaglianza che si è messo in testa per 27 giri trionfali. Il filo invisibile ma solido che lo lega a Lewis Hamilton, che poche ore dopo ha trionfato al di là dell’Appennino con la Mercedes. «Io non sono ancora nella posizione di rendere palesi e pubbliche le mie idee al mondo, ancora non ho la risonanza necessaria. Sensibilizzare le persone come sta facendo Lewis è importante, perché puoi veramente dare una direzione all’uomo, all’umanità». Così ci raccontava in giugno. Adesso che ha messo un altro mattone, può iniziare a farlo.