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 2020  settembre 14 Lunedì calendario

L’assalto alla diligenza dei fondi Ue

Tutti hanno esultato ai 207 miliardi tra prestiti e trasferimenti vincolati messi a disposizione dell’Italia dall’Europa. Un oceano di denaro, tanto che la Corte dei Conti nella sua prima ricognizione al Parlamento ha immediatamente levato un allarme: i progetti devono essere coerenti alle direttive della Commissione, avanzati in forma puntuale per un esame di conformità, i primi devono essere pronti entro fine anno per impegnare l’anticipo previsto a cominciare dal 2021, tutti devono essere comunque dettagliatamente impegnati entro il 2023 e spesi non oltre il 2026. Ma negli ultimi archi di sei anni – tanto dura la programmazione finanziaria ordinaria dei fondi Ue – l’Italia non è riuscita a superare il 38% in media di spesa realmente effettuata rispetto alle somme a disposizione. Abbiamo ogni volta dovuto confidare nelle deroghe. E tuttavia, all’Italia di Conte i 207 miliardi stanno stretti. Alcuni esempi. Visto che il governo non convince i Cinque Stelle alla richiesta di 37 miliardi del Mes sanitario, ecco che i 32-35 miliardi di piani straordinari d’investimento nella sanità su cui lavora il ministro Speranza con le Regioni ricadono nel Recovery fund. Il piano Italia veloce presentato dalla ministra De Micheli cuba da solo 200 miliardi in un quindicennio di cui solo 40 su somme già impegnate: se anche solo 60 miliardi dei rimanenti 160 ricadessero nel Recovery fund saremmo già alla metà totale del programma di sostegno UE.
Le varie richieste
La scuola? Con il Covid il governo ha stanziato poco oltre 7 miliardi di cui 2,9 realmente operativi. Ma il piano complessivo della ministra Azzolina per la sola didattica a ranghi completi e la dotazione strumentale per quella a distanza costa 17 miliardi, ha calcolato Tuttoscuola. Aggiungendo gli interventi minimi di messa in sicurezza e rinnovo del vetusto parco immobiliare destinato a fini scolastici, previsti ma poi messi da parte nel Piano dell’Unità operativa Italia sicura nata dopo i terremoti 2016-17, servono altri 12 miliardi. Siamo a quota 30 solo per la scuola. Se, procedendo a caso, mettessimo nell’elenco i 23 miliardi chiesti per il Sud dal ministro Provenzano per il triennio 2021-23, trascurando gli aggiuntivi 120 miliardi fino al 2030, e i 25 miliardi che il ministro Guerini ha sollecitato per industria aerospaziale e difesa, avremmo esaurito quattro quinti dei 207 miliardi. Senza un solo euro per il Green deal, la sostenibilità sociale, la riforma di ammortizzatori sociali e politiche attive del lavoro, e riforme strutturali come quella della sostenibilità previdenziale, digitalizzazione della pubblica amministrazione e della giustizia. Cioè le vere priorità indicate dalla Commissione Ue perché i programmi siano approvati, perché davvero i Parlamenti di tutti i Paesi diano il loro voto e perché nessuno poi attivi la procedura di allarme contro l’Italia. Ma il punto dolente non è solo l’erraticità delle diverse proposte ministeriali. Regioni e Comuni sperano a propria volta che le risorse Ue siano il deposito di Paperone per ogni desiderio. Roma ha avanzato da sola richieste al governo per 25 miliardi di ben 159 microprogetti. Non manca la realizzazione della funivia Clodio-Monte Mario-Ponte della Musica, croce e delizia del sindaco Raggi. Non è l’unica funivia: anche a Trento chiedono il Recovery fund per potenziare la funivia sul monte Bondone. Le richieste che i sindaci delle città metropolitane hanno enumerato tra luglio e agosto esondano i 20 miliardi complessivi chiesti al governo il 19 agosto dal presidente dell’Anci Antonio De Caro, ne servirebbero due volte tanti. Solo per Genova, Città metropolitana, Provincia e Autorità portuali hanno chiesto 2,5 miliardi per dighe foranee, ultimo miglio ferrovia-porti, elettrificazione delle banchine. Se si aggiunge la Gronda cittadina necessaria alla viabilità, ma ferma da anni e oggi bloccata per la vicenda Aspi-Autostrade, i miliardi salgono a 5,5 solo per Genova.
Le linee guida
Le linee guida con le sette priorità per l’utilizzo del Recovery Fund – formalmente quelle indicate dalla Commissione Ue – sono arrivate in Parlamento la scorsa settimana. Il governo non ha ritenuto nemmeno di ascoltare prima la propria maggioranza, ma ora dice che lo farà con l’opposizione. Un mix di dilazione e confusione, al confronto delle poche decine di pagine in cui la Francia ha condensato le misure che adotterà per 100 miliardi, di cui 40 finanziati dalla Ue, sotto il motto France Relance. Un terzo va a progetti chiari di sostenibilità e transizione ambientale, un terzo alla coesione sociale, e 35 miliardi alla competitività delle imprese. Di questi ultimi, 25 miliardi sono di incentivi per l’innovazione e il trasferimento tecnologico, e 10 miliardi secchi di meno imposte alle imprese. Tutte misure indicate in dettaglio. Con il governo Conte le dichiarazioni si sprecano, i dettagli mancano. Soprattutto per quanto riguarda lavoro, impresa e produttività. Mi limito a due consigli di lettura, in primis ai decisori politici. Il 22 settembre esce come e-book Il paese innovatore (ed. Egea) di Alfonso Fuggetta del Cefriel-PoliMi, e di Carlo Alberto Carnevale Maffé della Sda Bocconi: è prezioso per capire bene che cosa sia davvero l’innovazione da promuovere e che cosa la ricerca da finanziare, e per scegliere un unico grande modello per i centri di trasferimento tecnologico ricerca-imprese, mettendo termine alla caotica moltiplicazione che non fa massa critica. Quanto a un vero progetto pluriennale di irradiazione diffusiva dell’innovazione tecnologica dopo il gelo caduto su Industria 4.0, è già disponibile il volume collettaneo curato dal professor Riccardo Gallo coinvolgendo colleghi di sei diverse aree di ricerca della Sapienza di Roma, denso di dati su come il Covid ha colpito in modo diverso ogni settore della manifattura italiana.