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 2020  settembre 14 Lunedì calendario

Chloé Zhao e il cinema della Terra. Intervista

Aveva detto, senza peli sulla lingua, che, con Nomadland, puntava dritta alla vittoria. Eppure adesso che ha centrato l’obiettivo, la regista Chloé Zhao, nata a Pechino nel 1982, cresciuta in Cina, poi a Brighton, in Inghilterra, e poi a New York, dove ha studiato Scienze politiche e Produzione cinematografica, sembra una ragazzina impacciata, contenta di affidare alla sua attrice e produttrice, Frances McDormand, il peso di ringraziamenti e dichiarazioni ufficiali.
La frase che hanno pronunciato insieme, l’altra sera in videocollegamento con la Mostra («See you down the street», «Ci vediamo per strada»), è già diventata motto di tutti quelli che, sulla strada, ci sono sempre stati.
E ci vogliono tornare: «Sono sempre stata profondamente attratta dalle strade aperte - ci racconta nell’incontro via Zoom -, dall’idea, tipicamente americana, di un viaggio senza fine, alla ricerca di quello che sta dietro l’orizzonte».
Il Covid le ha impedito di essere fisicamente a Venezia, che effetto le fa vivere tutto questo a distanza?
«Mi dispiace non essere lì, Venezia è sempre stata il mio sogno, da quando ero studentessa di college. Un sogno che penso di aver realizzato, anche se in questo modo strano. E comunque la Mostra, fatta nonostante la pandemia, in un momento così particolare, è un’impresa da pionieri, siamo stati fortunati nel poter partecipare, sono felicissima di esserci stata».
Qual è la ragione profonda che l’ha spinta a girare Nomadland?
«È una storia piena di spiritualità, ambientata in mezzo alla natura, e io sono convinta, perché l’ho sperimentato di persona, che la natura e la solitudine possano aiutarci a curare noi stessi, le nostre ferite. Ritrovarsi in mezzo al nulla può farci avvertire una spiritualità profonda, aiutandoci a capire che, al di sopra di noi, c’è qualcosa di molto più grande. Non a caso, mi sento molto in sintonia con certi film di Terrence Malick».
Quali sono state le sue fonti di ispirazione, il cinema che l’ha formata?
«Di sicuro il regista Wong Kar-wai e il suo film Happy together mi hanno fatto capire che nella vita volevo fare questo mestiere, il suo coraggio e la sua sensibilità mi hanno molto ispirato. Prima, però, c’è stata la mia passione per i manga giapponesi, era fortissima, credo che l’abitudine a disegnare abbia molto inciso sul mio modo di realizzare film, i manga sono come "storyboard"».
Il suo prossimo impegno è di taglio diametralmente opposto a quello di Nomadland. Girerà Eternals, nuovo blockbuster della Marvel, con cast "all star", da Angelina Jolie e Salma Hayek. Come si divide tra progetti così diversi?
«Per me non ci sono differenze, essere regista significa raccontare storie che mi interessano, costruire personaggi insieme ad altri. Il processo è sempre lo stesso, non considero mai un film in base alla grandezza, mi concentro sul soggetto e, se mi piace, non importa se parla di persone che vivono isolate in una riserva o se, invece, è tutto a base di effetti speciali e CGI (Computer-Generated Imagery). Girerò Eternals da vera fan della Marvel, sarà l’occasione di un vero matrimonio tra Oriente e Occidente, avremo, per la prima volta, un’eroina sorda, storie d’amore Lgbtq e un cast multietnico».
Come è stato lavorare con Frances McDormand?
«Abbiamo navigato insieme per quattro mesi, certe volte il mare era tranquillo, altre in tempesta. Quando si attraversa fianco a fianco un’esperienza come questa, un lavoro a tempo pieno, così stancante, è naturale legarsi e pensare che la persona che si ha accanto sia insostituibile. Ho avuto la grande fortuna di lavorare con un’interprete estremamente creativa, capace di portare sempre qualcosa di nuovo al suo personaggio. Frances è molto tenace, non è facile trovare gente che abbia il suo talento e le sue ambizioni».
Il film parla di nuovi nomadi. Di persone che, per motivi diversi, hanno scelto di non avere un indirizzo. Per lei che cosa significa la parola casa?
«Per me casa è un posto dove ci sono due cani e qualche gallina, e lo dico sul serio. Casa è ciò che noi decidiamo di chiamare in questo modo, per alcuni la casa è una prigione, per altri può essere un angolo di un tunnel nella metropolitana di New York. Dobbiamo sempre sapere che possiamo perdere da un momento all’altro tutto quello che pensiamo di avere».
Che cosa ha imparato dai nomadi con cui è entrata in contatto per il film?
«Un sacco di cose. Soprattutto che, quando perdi molto, poi hai tutto da guadagnare. E questo è quello che succede alla mia protagonista. Fern ha perso tanto, ma ha anche acquistato il dono di guardare la sua vita da una prospettiva molto più ampia e ricca di quella che aveva in passato. Fern si evolve e trova la propria indipendenza nella natura, nelle terre selvagge, nelle rocce, negli alberi, nelle stelle, in un uragano».