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 2020  settembre 14 Lunedì calendario

Intervista al vignettista Emilio Giannelli

Una risata avrebbe dovuto seppellirci. Dopo quasi mezzo secolo da quella scritta, figlia della vitalità del Sessantotto, il sorriso sembra invece sepolto.
Emilio Giannelli di mestiere fa il vignettista e in teoria mezzo sorriso dovrebbe riuscire a strapparlo.
«Almeno mezzo. E, se sono particolarmente in forma, anche far riflettere un pochino. Ma percepisco che questo tempo è brutto, che ci sentiamo educati, indirizzati, organizzati verso una forma competitiva di vita nella quale trova un posto di rilievo l’invidia e la sua enclave fatta di costellazioni anche violente: la rabbia, poi l’odio».
Si dice infatti che odiare sia l’attività umana più semplice, perché è un sentimento diretto, impulsivo, travolgente.
«Lei sta parlando con un uomo di 84 anni che ha vissuto l’epoca in cui si era poveri, eppure esisteva un senso di solidarietà, di cooperazione».
Lei sta parlando della rabbia, che può essere figlia della povertà, di una vita infelice, particolarmente faticosa. Non dell’odio.
«Ho frequentato il liceo classico. C’erano i figli dei ricchi e quelli delle classi disagiate. L’incontro tra ricchi e poveri era più comune, più quotidiano, più frequente. Possiamo trovarci d’accordo almeno su questo?».
D’accordo all’accordo.
«Oggi esistono le scuole per ricchi, luoghi cioè frequentati prevalentemente, forse dovremmo dire esclusivamente, dalla borghesia. E poi, specialmente nelle periferie, gli altri ceti. I bus delle città, soprattutto di sera, diventano l’esclusivo mezzo di trasporto di chi è ai margini: il migrante, l’operaio, la signora delle pulizie, la badante dell’est. Una società divisa per classi è in sé una società meno solidale, meno altruista, meno pronta allo scambio. E in qualche modo meno felice. Monta la rabbia, e dopo la rabbia l’odio».
Forse anche ai suoi tempi c’erano i branchi, i predoni, le violenze sessuali, gli odi razziali: il cartellone usuale della fascisteria.
«Mi sta dicendo che, essendo vecchio, sono portato a dire quella banalità del “si stava peggio quando si stava meglio”?».
Lei ci ha riflettuto?
«Le parlo da senese, da contradaiolo del Drago. Chi nasce a Siena sente il Palio come un evento identitario, assoluto. E mette a disposizione il suo talento, o se non ne ha i suoi soldi, o se mancano i soldi le sue mani, per dare un aiuto, contribuire. Oggi quel senso di comunione vive, naturalmente, ma è opacizzato da un sottinteso, dall’idea che la Contrada sia poi una rete di relazione da cui ricavarne un vantaggio».
Le contrade come tanti piccoli Rotary.
«Un po’ sì. In tutta sincerità sì. Francamente il precetto cristiano “Ama il prossimo tuo come te stesso” sembra, a leggerlo oggi, più una didascalia di una vignetta».
I social hanno queste controindicazioni.
«Spingono infatti alla prevalenza del sé stesso, che è l’idea dell’uno, o al principio della competizione permanente. Si perdono remore, misure, si eccede con l’autopromozione, si esaltano personaggi gaglioffi, si giunge alla macchiettistica».
Tutta merce per le sue vignette.
«Quando venne proclamato il lockdown mandai al Corriere un foglio bianco con la scritta CHIUSO. Mi sembrava senza senso l’ironia in un tempo così infelice, così pauroso. Il direttore mi convinse a continuare, era giusto che tutto quel che poteva aiutare a vivere in modo normale doveva essere fatto, e normale era un giornale con la sua vignetta d’ordinanza».
Non è stanco della sua matita?
«Non so far altro che questo. Non ho mai avuto altra passione che questa. Scrivo vignette ovunque posso, anche sulla carta igienica».
Rotoli e rotoli allora avrà consumato, come ci ricordava quella pubblicità.
«Hai voglia!».
Avrà disegnato centinaia di mascherine.
«Mascherine di ogni taglia, non ne posso più».
Lei è previdente.
«Sono stato chiuso in casa, obbedisco e mi riparo. E se esco indosso ovunque questa benedetta mascherina».
Dovrà uscire domenica prossima: è toscano e avrà da votare doppio, c’è la Regione e poi il referendum.
«Andrò, perbacco».
È il classico rosso antico.
«Con qualche angustia riconfermerò».
E al referendum?
«Dirò sì».