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 2020  settembre 14 Lunedì calendario

Wirecard e il sistema tedesco

L’annuncio è choc: nei bilanci della multinazionale sorta sul business dei pagamenti legati a pornografia e gioco d’azzardo online, alcuni miliardi non esistono. Con la frode si scoperchia un intrico di trucchi contabili, morti sospette, attacchi contro giornalisti e azionisti critici, distrazioni dei controllori, intrecci politici, legami con i servizi segreti, ruoli nei conflitti mediorientali. Sembra una serie tv, invece è la storia vera dello scandalo del gigante tedesco delle transazioni digitali Wirecard. Il suo crac ha colpito la Borsa di Francoforte, per decenni considerata sicura rispetto alle truffe di altri Paesi, e segna uno sconvolgente salto di qualità rispetto a tutti i precedenti: ha rivelato le crepe del “modello renano”.
La truffa. Con 5mila dipendenti impegnati a emettere carte di credito e fornire tecnologia per pagamenti a 250mila clienti, tra i quali i giganti commerciali tedeschi Aldi e Lidl e quasi 100 compagnie aeree, al suo apice Wirecard era considerata la maggior realtà fintech d’Europa, capace di competere con la Silicon Valley. La società fondata nel 1999 ad Aschheim, sobborgo di Monaco di Baviera, dalla quotazione del 2002 era cresciuta sino al record dell’agosto 2018 quando le sue azioni valevano 191 euro. Con una valutazione di Borsa di oltre 24 miliardi era entrata al posto di Commerzbank nel Dax30, l’indice delle maggiori società di Francoforte, il gotha della finanza tedesca. Ma per nascondere i suoi problemi arrivò persino a elaborare un progetto di fusione con Deutsche Bank, il gigante malato del credito tedesco. Peccato che il castello di carte il 25 giugno è crollato con la bancarotta. Tre giorni prima Wirecard aveva ammesso che 1,9 miliardi, asseritamente depositati su due conti bancari nelle Filippine, non esistevano: i documenti erano finti. Il 23 giugno l’ad Markus Braun è stato arrestato per falso in bilancio e manipolazione di mercato e gli ex consiglieri indagati, mentre il dg Jan Marsalek si dava alla latitanza. Il 5 agosto è stato trovato morto Christopher Bauer, ex responsabile della sede di Manila. Il crack ha colpito milioni di utenti nel mondo tra i quali 300mila italiani, le cui carte di pagamento SisalPay sono state bloccate per qualche tempo. Non c’è però nulla di tecnologico nel meccanismo con cui la bolla delle azioni Wirecard è stata gonfiata sino a esplodere travolgendo grandi investitori, piccoli risparmiatori, fondi pensione e banche finanziatrici. La truffa ha seguito uno schema classico: attribuire all’azienda finte operazioni all’estero, condotte in Paesi asiatici con scarso i nulli controlli, da cui provenivano margini e utili altrettanto fittizi. Il sistema di occultamento ricalca quello del gigante texano dell’energia Enron, divenuto nel tempo un broker di derivati ed esploso a fine 2001 sotto enormi perdite emerse da operazioni finanziarie fuori bilancio. Quanto ai falsi documenti bancari, già 20 anni fa la Parmalat di Calisto Tanzi e Fausto Tonna dichiarava inesistenti miliardi grazie a estratti conto realizzati con lo scanner.
Le collusioni. Se Wirecard non ha brillato per creatività rispetto a Enron e Parmalat, lo scandalo rivela però contorni impressionanti. Il primo è la lunghissima inazione (o collusione?) di stampa e Authority tedesche. Il 13 settembre 2003 Il Sole 24 Ore portava alla luce il “bond fantasma” da 300 milioni di Parmalat, annunciato da Deutsche Bank ma smentito da Collecchio. Tra i sospetti e il default dell’8 dicembre passarono meno di tre mesi. Quanto a Enron, il primo allarme sui conti fu lanciato dalla reporter Bethany McLean di Fortune il 5 marzo 2001: in appena 9 mesi la multinazionale di Houston collassò. Le denunce su Wirecard sono fioccate inutilmente per oltre un decennio. L’unità antiriciclaggio (Fiu) di Berlino ha ricevuto un migliaio di segnalazioni su transazioni sospette di Wirecard, 97 delle quali ritenute credibili, ma solo dopo il crac ne ha trasmesse due agli inquirenti. Quanto ai bilanci, già nel 2008 il capo di un’associazione di azionisti tedesca sosteneva che i conti di Wirecard erano truccati. Scattava un meccanismo che sarebbe intervenuto più volte: la Bafin, la Consob tedesca, che permetteva ai suoi dipendenti di fare trading sulle azioni Wirecard, invece che sulla società ribaltò le indagini contro due trader che non avevano rivelato proprie posizioni ribassiste sulle azioni fintech. I dubbi esplosero di nuovo nel 2015, quando il Financial Times pubblicò le prime puntate della sua inchiesta “House of Wirecard” parlando di un buco da 250 milioni. L’azienda sostenne che l’articolo era stato pagato da chi vendeva titoli allo scoperto per lucrare sul loro ribasso ottenuto grazie a false notizie negative concordate con l’Ft. L’anno dopo alcuni speculatori pubblicarono un dossier in cui accusavano Wirecard di riciclaggio. Bafin accusò di manipolare il mercato e mise sotto inchiesta anche Dan McCrum e Stefania Palma, reporter investigativi del Ft, accusati di essere “a libro paga” degli speculatori e scagionati solo quest’anno. Intanto la società bavarese scatenava un’agenzia di investigazioni private contro l’ Ft. Giornalisti, analisti, finanzieri, chiunque criticava Wirecard finiva alla gogna sui social network e riceveva attacchi hacker su pc e cellulari. Le aggressioni informatiche durarono anni. A febbraio 2019, quando la polizia di Singapore fece irruzione nella direzione asiatica dell’azienda e le sue azioni crollarono sotto i 100 euro, la Bafin vietò per due mesi le vendite allo scoperto motivando la decisione con “l’importanza di Wirecard per l’economia” e la “seria minaccia alla fiducia del mercato”. A luglio 2019 l’Ft chiese lumi all’azienda sui suoi rapporti con alcuni partner ma ricevette nuove accuse di collusione con gli speculatori, riprese dal quotidiano tedesco Handelsblatt, e una causa per “uso improprio di segreti commerciali”.
La spy story. Nel frattempo la società fabbricava false “prove” delle trame dell’Ft realizzate sotto la supervisione di Rami El Obeidi, ex capo dei servizi segreti del Consiglio nazionale della Libia ingaggiato per attaccare i gestori di fondi che avevano venduto allo scoperto le azioni Wirecard. El Obeidi prendeva ordini da Jan Marsalek, un austriaco senza titoli di studio che dopo aver fondato un sito di e-commerce dal 2000 era entrato in Wirecard come informatico e, grazie alla protezione di Braun, l’aveva scalata sino a diventare nel 2010 dg e responsabile della “crescita globale”. Ora l’ex dirigente, inseguito da un mandato di cattura internazionale, pare scappato in Russia. Attorno a Marsalek ruota il capitolo più oscuro dello scandalo. Tre agenzie di intelligence occidentali indagano sui suoi duraturi rapporti con Andrey Chuprygin, che l’austriaco spesso chiamava “il colonnello”, un ex alto ufficiale dei servizi segreti militari di Mosca, il Gru, sospettato del tentato omicidio in Inghilterra di un’ex spia e della guerra segreta in Ucraina. Secondo molte fonti, nel 2015 Marsalek ha avuto forti interessi in Libia dove voleva portare 15mila miliziani, tra cui quelli russi del Gruppo Wagner, per controllarne le frontiere meridionali. L’operazione avrebbe consentito di ricattare l’Ue, aprendo o chiudendo i canali dell’immigrazione dall’Africa subsahariana. A giugno 2017 il finanziere si vantava di essere stato ospite dell’esercito russo nelle rovine di Palmira, in Siria, appena liberata dall’Isis. Nel 2018 si presentava a un incontro finanziario a Londra sbandierando quattro rapporti riservatissimi dell’Onu contro le armi chimiche che analizzavano l’attacco in cui a marzo un composto nervino letale, il novichok, era stato usato a Salisbury per cercare di uccidere il disertore del Gru Sergei Skripal. Lo stesso veleno usato pochi giorni fa contro Aleksej Navalnyj. Berlino, che ha dato rifugio all’oppositore russo, ha chiesto spiegazioni a Mosca. Ma dopo lo scandalo Wirecard è il Parlamento tedesco a pretendere risposte dal governo di Angela Merkel sulle coperture godute dalla società e a chiedere la riforma dei controlli finanziari. Il Bundestag punta il dito contro il ministro delle Finanze Olaf Scholz. Il socialdemocratico, in corsa per il cancellierato, è sotto accusa anche per i suoi rapporti con la banca privata Warburg di Amburgo, coinvolta insieme a molte altre in una gigantesca frode fiscale. I colpi di scena dello scandalo Wirecard non sembrano affatto finiti.